Bruzzone oltre la provocazione: perché “Io te lo leverei tuo figlio” è un segnale serio
- La Redazione
- 7 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 8 giu
Bruzzone spiega il vero significato di una frase che scuote: un allarme sull’emergenza educativa e la responsabilità dei genitori...

“Io te lo leverei tuo figlio. ”Una frase che sembra un’esagerazione, un insulto, una provocazione gratuita. E invece no. Roberta Bruzzone, criminologa, psicologa forense e voce sempre più ascoltata in tema di educazione familiare, l’ha pronunciata con lucidità chirurgica. Non per offendere, ma per diagnosticare un malessere profondo e diffuso: quello di troppi genitori incapaci di educare, contenere, amare con regole.
Dietro quella frase c’è un’allerta sociale che non possiamo più permetterci di ignorare. Perché ci sono figli allo sbando e adulti che hanno rinunciato a fare gli adulti. E in questa resa, il danno è collettivo.
Perché la verità è semplice: oggi molti adulti non sono più in grado di educare. Per paura di sbagliare, per il bisogno disperato di piacere ai propri figli, o peggio per mancanza di forza. Ma se non si ha il coraggio di assumersi la responsabilità educativa, ha ragione Bruzzone: forse è meglio prendersi una pausa. O, come dice lei, una “patente genitoriale”.
Un figlio non ha bisogno di un follower
La psicologa forense non fa sconti: “Non potete essere amici dei vostri figli”, ribadisce. E non è sola. Quando il genitore rinuncia all’autorevolezza, il figlio perde un faro.
Oggi invece sembra che tutto debba essere mediato, discusso, trattato. E così, mentre si evita lo scontro, si perdono le coordinate. Ma un figlio non ha bisogno di un adulto che chieda il permesso: ha bisogno di un adulto che lo protegga, anche da se stesso.
Educare significa anche essere impopolari
Bruzzone è chiara: educare non è accarezzare, è contenere, guidare, scontrarsi quando serve. L’amore vero è fatto anche di “no”, di limiti, di discussioni, di confini netti. Perché un figlio senza confini non è libero: è in balia di tutto.
Il punto allora non è quanto amore si dà, ma quale forma assume quell’amore. Se è un amore pavido, che ha paura di turbare, o un amore solido, che tiene il punto anche quando scotta.
L’educazione non è un algoritmo
In tempi di like e approvazione istantanea, c’è una parola che fa paura più di tutte: conflitto. Ma educare è un’arte antica, imperfetta, fatta di errori, intuizioni, confronti. Non si può demandare agli algoritmi, alle tendenze, ai tutorial su TikTok.
Quando un ragazzo si chiude, un genitore deve entrare.Quando qualcosa non torna, deve chiedere.Quando tutto sembra filare, deve vigilare lo stesso.
La domanda finale
Allora la domanda è sempre la stessa, ma vale la pena ripeterla: i genitori devono piacere ai figli?
No. Devono esserci. Devono reggere. Anche se questo significa essere odiati oggi, per essere ricordati – e rispettati – domani.
di NATALIA SESSA
Comments