Recalcati, “Ti insegno a camminare per lasciarti andare”: il paradosso meraviglioso dell’essere genitore
- La Redazione
- 5 giu
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 6 giu
Un genitore è colui in grado di custodire, proteggere, amare il proprio bambino, ma anche colui capace di insegnargli a camminare perché dovrà lasciar andare…

Non è semplice svolgere la funzione di educatore, in qualità di genitore, ed alle volte ci si sente smarriti, disorientati, inadeguati, oberati dai sensi di colpa, alla luce di una società che richiede ritmi sfrenati e spesso non consente agli adulti di trascorrere il tempo necessario con i giovanissimi, privando questi ultimi di quel calore avvolgente capace di scaldare il cuore e di rasserenare l’animo, perché un abbraccio alle volte può essere così rassicurante da far svanire qualsiasi timore od incertezza.
Si pensi, ad esempio, al ruolo svolto da una madre che dona la vita al proprio figlio, dedicandogli amore puro ed incondizionato, crescendolo con premure ed attenzioni, ma al contempo insegnandogli a camminare, così da permettergli un giorno di andar via, non limitando mai la sua libertà.
“Non è forse sempre che ogni madre che cresce il proprio figlio, come figlio proprio, che lo cresce col proprio corpo, col proprio sangue, col proprio ossigeno, fa esperienza di questo figlio come del figlio di un altro? Figlio che non è suo, figlio che non è proprio. Non fa forse ogni madre esperienza della libertà assoluta del figlio? Ed in questo senso ogni figlio non sarebbe forse destinato, come Gesù, a morire sulla croce?
Ogni madre non fa questa esperienza? Cioè l’esperienza di crescere il proprio figlio, che non è proprio, di crescere un figlio che sarà destinato ad abbandonarla, a lasciarla, come quando vediamo le giovani o meno giovani madri che insegnano al proprio bambino a camminare. Non vediamo in questo insegnamento un paradosso? Come dire: ‘Io ti ho allevata, ti ho cresciuta, ti ho portata con me, ed adesso ti insegno a camminare, cioè ti insegno ad andartene’. Non è questo il dono più alto della maternità? Certo, ospitare la vita nella vita, crescere la vita, prendersi cura della vita, rendere la vita del figlio vita unica e insostituibile, ma al tempo stesso saper perdere questa vita, saper lasciare andare questa vita”, ecco le parole pregne di significato con le quali inizia la sua profonda riflessione lo psicoanalista e saggista italiano Massimo Recalcati.
Una madre è colei in grado di custodire, proteggere, amare il proprio bambino, ma anche colei capace di insegnargli a camminare perché dovrà lasciar andare suo figlio, ed è proprio questo il dono più alto della maternità.
Freud, al riguardo, sosteneva che fare bene i genitori, quindi educare, è un mestiere impossibile perché è impossibile non sbagliare ed allora chi sarebbero i genitori migliori? I genitori consapevoli dell’impossibilità di educare senza sbagliare; i peggiori educatori, di conseguenza, sarebbero coloro che si propongono ai figli come genitori ed educatori esemplari, infallibili.
Educare, significa formare, ed allora ci si chiede: “Com’è possibile fare in modo che i nostri figli possano acquisire una loro forma singolare, un loro stile, una loro identità?”, questo l’interrogativo che si pone Massimo Recalcati.
Noi viviamo nel tempo che coltiva l’illusione che regolare, uniformare, normalizzare, rendere tutti uguali, sia alla base di ogni processo pedagogico e quindi questa insistenza educativa genera una resistenza.
Le regole sono degli impedimenti esterni e se non si rispettano si incappa in una sanzione. Ma questa sarebbe davvero l’educazione?
“L’educazione non avrebbe come finalità fondamentale quella di accendere la vita, mettere in movimento la vita del figlio, accendere il desiderio nella vita del figlio, rendere la vita del figlio viva?”, questa la domanda significativa che si pone lo psicoanalista.
Ma come si accende la vita di un figlio?
“I migliori genitori, i migliori educatori, possono arare, coltivare, scegliere l’illuminazione più opportuna per il campo del figlio. Se immaginiamo il figlio come un campo, noi come genitori possiamo mettere i semi migliori, l’esposizione alla luce, la tutela, possiamo anche costruire una serra sul campo, ma nessuna delle nostre iniziative da bravi agricoltori nei confronti del campo della vita del figlio potrà assicurare la sua felicità perché la vita è fatta anche di uragani, grandinate, tempeste”, in tal modo Massimo Recalcati continua la sua disamina.
Non c’è determinismo nei processi educativi: non è detto che, dati buoni genitori, vengano buoni figli; è non è detto che, dati cattivi genitori, vengano cattivi figli.
Quindi bisogna iscrivere nel cuore di un figlio una legge universale e cioè che non sei il centro di tutto, non puoi tutto, si può godere di tutto ma non del tutto perché non sei Dio.
Il vero educatore, in qualità di maestro o genitore, è obbligato ad esercitare il potere, è obbligato a dire dei no, e questo non serve a mortificare la vita ma ad accendere il desiderio nei giovani, ad accendere il fuoco della vita.
Ecco allora che i genitori, con la loro testimonianza, attraverso un’eredità invisibile, sono in grado di trasmettere il fuoco ai propri figli, quella passione inesauribile che rende la loro vita degna di essere vissuta, non dimenticando mai che sono le cose semplici a renderci speciali, e che nella vita bisogna lottare per esaudire i propri sogni.
di VALENTINA TROPEA
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