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Pellai: “La morte di Simona Cinà reclama il dovere di dire la verità. Bisogna testimoniare per poter far luce sull'accaduto e non si può essere sostenitori di pratiche di omertà e silenzio"

"La Morte di Simona Cinà, la ventenne palermitana, obbliga ogni ragazzo e ragazza presente a quell’evento a sentire la responsabilità della verità. È cruciale che..."

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La storia di Simona Cinà, ventenne di Capaci ritrovata morta in una villa a Bagheria durante una festa di laurea, lascia tutti sgomenti ed ancora non si comprende come una ragazza così giovane e solare abbia potuto perdere la vita in tal modo.

Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano, esprime il suo pensiero in merito all'accaduto, sottolineando l'importanza di dire la verità, di testimoniare così da far luce su di un fatto doloroso e sconcertante.

"La Morte di Simona Cinà, la ventenne palermitana, accaduta in circostanze che la Giustizia deve ancora chiarire, obbliga ogni ragazzo e ragazza presente a quell’evento a sentire la responsabilità della verità. È cruciale che chi c’era, racconti cosa ha visto, cosa è accaduto. È importante perché è ciò che la famiglia giustamente pretende. E ciò che, alla fine, la Giustizia – in un modo o nell’altro – arriverà a definire. Spesso in una compagnia di amici, i fatti peggiori vengono coperti da un’omertà che si trasforma in complicità e corresponsabilità. Si ha paura a parlare perché si teme di essere considerati 'delatori'. Si ha paura a parlare, perché magari nei minuti in cui ci si è resi conto della gravità del fatto accaduto, si è stretto un patto scellerato con tutti gli altri, rendendo 'il non dire' obbligatorio per tutti. Si ha paura a parlare perché si teme di finire nelle maglie della Giustizia, sentendo magari di non avere avuto alcun ruolo attivo nell’evento.

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Io auspico che le famiglie di chi era li a quella festa facciano sentire ai propri figli e figlie l’importanza della verità che, grazie alle loro testimonianze, può fare luce su un fatto che per la famiglia della vittima, ma anche per tutti noi genitori, è dolorosissimo e sconcertante. Io spero che nessun genitore di chi era a quella festa diventi sostenitore di pratiche di omertà e silenzio. A volte un giovane figlio non ce la fa a fare la cosa giusta. È cruciale che, in questi frangenti, l’adulto sappia guidare e far accadere ciò che serve alla verità. Prendersi la responsabilità a volte è doloroso. A volte è pure rischioso. Ma è ciò che ci lascia integri, anche quando tutto intorno il mondo si frantuma. Poi, quando avremo saputo davvero che cosa è successo, potremo anche parlare di cosa vuol dire davvero 'fare festa' e di quanto, oggi, questo concetto – ovvero il 'fare festa' – sia stato trasformato in tutt’altro, soprattutto nel mondo degli adolescenti e dei giovani adulti. Ma questo è un altro discorso", queste le significative parole dello psicoterapeuta dell'età evolutiva.

Dunque appare fondamentale la cooperazione e la collaborazione delle persone che erano presenti alla festa quella sera: ogni ragazzo presente a quell’evento deve sentire la responsabilità della verità proprio perché non si può essere sostenitori di "pratiche di omertà e silenzio" ed è importantissimo testimoniare; occorre, infatti, comprendere fino in fondo cosa sia realmente accaduto e perché una giovane vita sia stata spezzata in tale maniera.


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di VALENTINA TROPEA

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