Maria Rita Parsi: “Capire i figli? Amarli non basta: serve una nuova relazione educativa. Ecco cosa possiamo fare”
- La Redazione
- 6 giorni fa
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Aggiornamento: 5 giorni fa
“I bambini, a partire dai più piccoli, amano molto giocare in compagnia degli adulti. Ci porgono l’invito a entrare a far parte del loro mondo, non soltanto immaginativo e...”

Relazionarsi, soddisfacendo il proprio bisogno primario di comunicazione e connessione con gli altri, presuppone in primis la necessità di instaurare rapporti interpersonali, così da tessere legami e consentire a ciascuno di esprimersi al meglio.
“Stabilire relazioni, tessere rete sociali, ‘connettere’ e ‘connettersi’ non è solamente una potenzialità ma è soprattutto una ‘urgenza’, un bisogno primario che accompagna l’Uomo dal suo apparire sulla terra, sia come individuo sia come specie. Infatti, già durante la vita intrauterina, il piccolo e la mamma si scambiano milioni di comunicazioni, ovvero messaggi trasmessi attraverso ‘mediatori’ biochimici e tonici che collegano il corpo del bambino al corpo della madre, come per esempio gli ormoni, il sangue, il ritmo del cuore e i suoni provenienti dal corpo della mamma, il suono della sua voce e delle voci esterne, percepibili a partire dal settimo mese circa. Il primo contatto, quindi, tra il feto e il mondo esterno è di tipo uditivo, fatto di suoni che gli giungono filtrati dal ventre materno”, in tal modo la psicologa e psicoterapeuta italiana Maria Teresa Parsi, presidente della Fondazione Movimento Bambino Onlus ed ex membro del Comitato ONU per i diritti del fanciullo, coglie l’occasione per esprimere il suo pensiero in merito alle relazioni che si instaurano tra adulti e bambini.
La comunicazione, quindi, è un complesso sistema di messaggi trasmessi dal comportamento e non solo veicolati con il nostro linguaggio parlato o scritto. Si riesce a comunicare, ad esempio, anche con i gesti, con il tono della voce, con i silenzi e con i segni.
Ogni soggetto, infatti, ha una propria capacità espressiva e comunicativa differente e tale peculiarità permette di contraddistinguerlo da tutti gli altri.
Si pensi, ad esempio, ad un neonato che riesce a comunicare le sue emozioni attraverso un pianto o un sorriso, piccoli segnali che possono essere decifrati dagli adulti così che quest’ultimi siano in grado di distinguere un pianto di fame da un pianto di sonno o ancora da un pianto di paura e solitudine. Attraverso il gioco, inoltre, il bambino riesce ad esprimere sé stesso ed il proprio mondo interiore; e quindi proprio l’osservazione attenta delle attività ludiche consente agli adulti di conoscere meglio i più piccoli. Maria Rita Parsi sottolinea, infatti, come si cresca giocando e soprattutto come un bambino che ha potuto giocare da piccolo ben presto si trasformerà in un adulto sereno.
“I bambini, a partire dai più piccoli, amano molto giocare in compagnia degli adulti. Ci porgono l’invito a entrare a far parte del loro mondo, non soltanto immaginativo e fantastico ma, soprattutto, più autentico e profondo. Così i bambini si esprimono, dialogano, si aprono al contatto. Non amano raccontarsi attraverso ‘chiacchiere da salotto’! Ai genitori che ci sottolineano la difficoltà a stabilire un dialogo con i propri figli, chiediamo, di frequente, quante volte si rendano disponibili a ‘giocare’ con loro. Non si tratta di attuare azioni seduttive tese a catturare il loro consenso o strategie di ‘aggiramento dell’ostacolo’, rappresentato dal silenzio ed espresso attraverso sintetiche frasi del genere: ‘Non ho fatto niente, oggi, a scuola’. Si tratta, piuttosto, di reimparare, recuperare, parlare i linguaggi e i modi dell’infanzia per facilitare la comunicazione e l’intesa reciproca”, queste le significative parole della psicoterapeuta.
Bisogna, ad esempio, invitare i nostri figli a sperimentare dei giochi che ci divertivano quando eravamo più piccoli perché in tal modo ci si potrà conoscere meglio e per il bambino gli adulti appariranno più vicini e comprensibili.
“Il gioco, fin dalla tenera età, rappresenta una curiosità psicologica, uno stimolo per la creatività e la fantasia, un bisogno profondo”, così come ci spiega Maria Rita Parsi molto dettagliatamente.
Occorre, dunque, ritornare a giocare con i nostri figli, non dimenticando mai che “l’infanzia è attesa di eventi luminosi e lieti, eroici, santi e belli.
Se l’infanzia di un bambino è stata buia, triste, grigia, spaventata, nessun drago, fantasma o mostro, all’improvviso sconfitto, nessuna luce, il bambino diventa adulto. Ma dentro di lui, quel bambino aspetta, murato nel semisonno dell’attesa. Aspetta che l’infanzia sia magica, bella e santa. Bisogna illuminare l’infanzia per farlo crescere”.
Il gioco, pertanto, rappresenta una modalità attraverso la quale poter cogliere le tendenze e la personalità dei più piccoli. Giocare con i nostri figli significa in primis regalare loro allegria e spensieratezza, illuminando la loro infanzia, permettendo loro di esprimersi al meglio, stimolando fantasia e creatività, garantendo in tal modo una crescita sana e consapevole, non privandoli mai della loro curiosità e del loro desiderio di conoscenza.
di VALENTINA TROPEA
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