Galimberti: una buona scuola deve consentire ad uno studente di seguire la sua intelligenza senza tralasciare le discipline per le quali non si sente portato così da insegnare cosa sia la disciplina
- La Redazione

- 22 feb
- Tempo di lettura: 3 min
Ecco allora l'importanza di una scuola che consenta ad uno studente di seguire "l'inclinazione della sua intelligenza senza tralasciare le discipline per le quali non si sente portato, proprio perché...

Ancora adolescenti ed un po' immaturi i giovanissimi si ritrovano all'età di 13 anni a dover scegliere il percorso di studi al quale dedicarsi, la scuola superiore che dovranno frequentare, spesso però non avendo gli strumenti giusti per optare per una scelta piuttosto che per un'altra, dovendo fare i conti con tante passioni, ambizioni, non riuscendo ancora a definire i contorni di una personalità in via di completa definizione, non avendo piena contezza di se stessi e del proprio talento.
Si tratta di una scelta che inevitabilmente condizionerà il loro futuro, nonostante arrivi così precocemente.
A tal proposito Elena, una giovane ragazza frequentante l'ultimo anno del liceo linguistico, si rivolge al filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti per esprime il suo rammarico in merito ad alcuni aspetti riguardanti il sistema scolastico italiano.
"Porterò il mio esempio: posso dire di me di essere sempre stata prima una bambina e poi una ragazza incredibilmente curiosa, ambiziosa e con spirito d'iniziativa. Queste tre qualità, che io ritengo fondamentali per ogni individuo (in particolare la curiosità), sono state annientate dal sistema scolastico nel momento in cui ho dovuto scegliere il liceo a cui iscrivermi. Dover prediligere delle materie rispetto ad altre, quando ogni cervello umano è fatto in maniera diversa, mi sembrava una punizione", queste le parole della giovane ragazza.
Elena, da sempre portata per la lingua inglese ed il disegno, dovette accantonare la sua inclinazione artistica per scegliere un liceo vicino casa, e si ritrovò alle prese con il latino, che a quattordici anni non riusciva a comprendere e a studiare, così non superando il primo anno.
A tal fine la giovane studentessa chiede al filosofo Umberto Galimberti se esista una ragione per studiare anche le materie che non si amano e se il suo non possa essere solo definito un capriccio. Il filosofo, molto dettagliatamente, spiega alla ragazza di avere ragione su un punto e torto su un altro. Sicuramente esistono molte forme di intelligenza, spiega Galimberti.
Esiste, infatti, un'intelligenza linguistica che ci rende abili nel tradurre un termine o nel realizzare una costruzione da una lingua all'altra con facilità; esiste anche un'intelligenza musicale che ci permette di percepire come armonia quella che per altri è dissonanza; un'intelligenza emotiva che è una forza dinamica che ci consente, prima che intervenga una mediazione razionale, di muoverci nel mondo individuando le condizioni più favorevoli rispetto a quelle sfavorevoli; un'intelligenza psicologica, che sa catturare quel che si agita nell'animo altrui, per cui chi la possiede partecipa attivamente al patire e al gioire delle persone a cui si rapporta; un'intelligenza poetica, che sa consegnare alle parole un significato che va al di là del loro uso abituale.
La scuola, per poter dare libera espressione a tutti questi tipi di intelligenza, dovrebbe avere classi composte da dodici/quindici studenti e professori competenti in scienze cognitive ed emotive, dato che l'intelligenza si apre quando ci si prende cura dello stato emotivo. Ciò però non è possibile e la scuola tende a sviluppare un'intelligenza logico-matematica che abitua la mente a cogliere le analogie ed i rapporti tra le cose.
Ecco allora l'importanza di una scuola che consenta ad uno studente di seguire "l'inclinazione della sua intelligenza senza tralasciare le discipline per le quali non si sente portato, proprio perché la scuola non è un luogo che si regola sul principio del piacere, che si fonda sulla soddisfazione immediata del desiderio che ha caratterizzato la nostra vita infantile, ma sul principio di realtà che, tra il desiderio e la sua soddisfazione, introduce il lavoro, che chiede un'applicazione anche là dove non siamo sospinti dai nostri desideri o assecondati dalle nostre inclinazioni.
E, senza forse, è proprio in questo percorso il momento più educativo ed emancipativo della scuola", così come affermato da Umberto Galimberti senza alcuna esitazione.
Per tale motivo occorre studiare anche le materie che non si amano così da apprendere cosa significhi applicarsi, lavorare duramente, acquisendo metodo e disciplina, utili per ritrovarsi un giorno ad affrontare il mondo del lavoro senza farsi trovare ancora immaturi o impreparati.
di VALENTINA TROPEA






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