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Galimberti, la trappola della perfezione: Perché i giovani non si sentono mai abbastanza

Accettarsi per quello che siamo, con le nostre imperfezioni: come abbracciare la propria autenticità può liberarci dalla ricerca della perfezione e condurci alla vera felicità...

Il senso di disagio e di malessere sembra ormai dilagare tra i giovani: quest’ultimi, infatti, percepiscono sempre più un profondo senso di inadeguatezza, un po’ come se non fossero mai all’altezza della situazione e non ci fosse un posto per loro in questo mondo.

A tal fine una giovane ventiduenne, rivolgendosi al filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti, ha così espresso il suo pensiero:


“Mi trovo a scriverle senza sapere bene da dove cominciare. Ho dentro di me così tanti dubbi e conflitti, aggrovigliati e connessi tra di loro, da non essere in grado di individuarne un inizio né tantomeno una conclusione. Forse le sto scrivendo semplicemente per provare a dipanare questa massa. Quello che posso provare a raccontare è il forte senso di angoscia che frequentemente mi coglie, e che percepisco fisicamente, nel petto, a volte come un peso, altre volte come vuoto. Ho ventidue anni. Non riesco a sentirmi spensierata e in pace con me stessa. In ogni cosa mi trovo divisa tra il reale e l’ideale. Sono in bilico, ma non cado. Anzi, rimango immobile. Avverto allora un profondo disagio, la mancanza di un posto per me in questo grande mondo”, in tal modo la giovane ragazza si rivolge al filosofo in cerca di conforto, rassicurazione, e soprattutto di comprensione ed ascolto.

Allora ci si chiede cosa fare per superare questo disagio, per opporsi, così da ritornare a vivere serenamente, riassaporando la propria libertà senza vincoli o limiti di alcun genere.

“La triste realtà è che sogno quello che mi viene detto di sognare. Mi diverto come mi viene detto di divertirmi.

Sto zitta come mi viene detto di fare. Vorrei essere magra e bella. Vorrei essere sempre al massimo. Vorrei non avere debolezze. Ho idee precise, che non metto in atto. Credo nella lotta, ma non la applico. Credo nella conoscenza ma la tengo per me. Credo nell’amore, ma non amo. Credo nella forza del poter essere se stessi, ma provo vergogna. Rincorro con affanno un senso di appartenenza vero, di cui sento la mancanza, cercando allo stesso tempo di non conformarmi, ma fallendo ogni volta, ricadendo nel desiderio di essere come ‘loro’”, continua in tal senso la ventiduenne.

Ecco allora che i giovanissimi si ritrovano ad essere omologati e manipolati, incapaci di mettersi in gioco, sempre in disparte, senza mai far sentire la loro voce, avendo paura di sbagliare, convinti di non poter mai essere felici, di non poter mai cambiare la situazione, vivendo la solitudine di chi chiede troppo a se stesso. Le nuove generazioni, idealizzando troppo se stesse, rischiano di vivere un’eterna insoddisfazione, un po’ come se non fossero mai abbastanza, ricercando una perfezione che non esiste, disconoscendo se stesse e trascurando la loro vera identità.

“Andavo malissimo. Volevo fare la zoologa, ma commentavano: ‘Non capisci niente, al massimo farai la commessa.’ Finii alle Magistrali ma, allora, da lì non potevi andare in una facoltà scientifica. Anni dopo presi il diploma del Classico con le serali e provai a iscrivermi a Scienze naturali; a quel punto, però, le mie condizioni erano così difficili che non ce l’ho fatta.” Le sue parole rivelano l’importanza di affrontare e superare le difficoltà come parte essenziale del percorso di crescita.


“Da questa guerra tutta interna a noi stessi che ci divora e non ci fa mai sentire soddisfatti della nostra esistenza si esce rinunciando alla perfezione che ci si è autoimposta e accettando la parte umbratile della nostra personalità, quella di cui non andiamo fieri, quella che vorremmo che nessuno scoprisse, quella che ci fa sentire ‘punti nel vivo’ quando qualcuno ce la svela”, queste le parole pregne di significato di Umberto Galimberti.


Per essere felici, dunque, occorre imparare ad amarsi senza riserve, rinunciando alla solitudine di chi chiede troppo a se stesso, alla perfezione che non ci fa mai sentire abbastanza o all’altezza e che determina spesso un profondo senso di vuoto e di tristezza.

“E se è vero che non noi, ma gli altri costruiscono la nostra identità, esponiamoci al mondo per quello che siamo, lasciandoci modificare da tutti gli incontri, evitando di cercare noi stessi in quella guerra inutile tra l’io e il suo ideale che ci isola dagli altri, e non ci fa approdare se non in quella terra desolata e solitaria dove a farci compagnia è solo la nostra insoddisfazione”, in tal modo termina la sua disamina il filosofo. E allora, che risposta possiamo dare a quella giovane ventiduenne che scrive con il cuore colmo di domande, paure e silenzi?

La risposta a quella giovane ventiduenne, e a tutti i giovani che si sentono "fuori posto", tra l’essere e il dover essere, è che la felicità non risiede nella perfezione ma nell'accettazione di sé, anche nelle proprie fragilità. Galimberti ci invita a rinunciare all'ideale irraggiungibile e ad abbracciare ciò che siamo, con tutte le nostre imperfezioni.

Quella "massa aggrovigliata" di dubbi non è qualcosa da risolvere, ma da comprendere. La spensieratezza che cerca non è l’assenza di peso, ma la leggerezza di chi smette di giudicarsi, di chi smette di inseguire modelli imposti e comincia, pian pian, a costruire un proprio modo di stare al mondo. Forse la vera forza non sta nel silenzio, ma nella voce che, anche tremante, osa dire: “questa sono io, e vado bene così”.

E così la risposta non è un manuale da seguire ma un percorso da intraprendere: fatto di errori, di relazioni vere, di cadute e risalite. Pertanto solo accettando di essere imperfetti possiamo finalmente sentirci liberi di esistere, di essere davvero felici.

di VALENTINA TROPEA

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