Bruzzone, ai genitori smarriti: meglio odiati oggi che ignorati domani? Un figlio senza confini non è libero
- La Redazione

- 4 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 6 giu
Quando un ragazzo si chiude, un genitore deve entrare. Quando qualcosa non torna, deve chiedere. Quando tutto sembra filare, deve vigilare lo stesso...

È ancora possibile educare senza sentirsi in colpa? In un’epoca in cui il bisogno di approvazione sembra avere la meglio sulla responsabilità educativa, molti adulti si ritrovano disorientati. Tra il timore di ferire i figli e la paura del conflitto, il rischio è uno solo: crescere ragazzi senza bussola.
“Non potete essere amici dei vostri figli. L’amicizia è un rapporto simmetrico, con voi i vostri figli un rapporto simmetrico non ce l’avranno mai.” Le parole di Roberta Bruzzone, psicologa forense, criminologa investigativa e criminalista di grande esperienza, che nei giorni scorsi hanno dato il la a un acceso dibattito sulla “patente genitoriale”, toccano un nervo scoperto: oggi, l’autorità genitoriale sembra evaporata. C'è quasi il timore di esercitarla. Cosa è successo negli ultimi 30 anni? La figura del genitore è cambiata. È passata da guida a complice, da punto di riferimento a “pari”. E molti figli, cresciuti con la sensazione di essere al centro di tutto, finiscono per perdersi proprio per mancanza di limiti. “Siete genitori, usate i vostri superpoteri. Non abbiate bisogno dell’approvazione dei vostri figli.” Un invito, o forse un appello, quello della Bruzzone a riprendersi un ruolo.
Lo stesso Umberto Galimberti, filosofo e tra i più noti autori che hanno trattato la relazione tra genitori e figli, ha più volte messo in guardia dai genitori che non vogliono dire di no per paura di farsi odiare. Ma se l’adulto abdica al suo compito educativo, chi resta a indicare la strada?
Molti padri e madri oggi si rifugiano nell’idea che un figlio vada solo “accompagnato”, che non vada “interrotto”.
Ma educare non significa assecondare, significa arginare, dire anche “questo no”, “questo non va”. Perché un bambino o un adolescente senza confini non è libero: è smarrito.
L’amore non è accettazione cieca. È responsabilità. È fatica. È anche scontro. E soprattutto è presenza. Non sorveglianza morbosa, ma attenzione reale. Quando un ragazzo si chiude, un genitore deve entrare. Quando qualcosa non torna, deve chiedere. Quando tutto sembra filare, deve vigilare lo stesso.
E allora la domanda torna: i genitori devono o non devono piacere ai figli? Forse no. Non sempre. Perché voler essere sempre amati rischia di trasformare l’educazione in una richiesta di conferma. E un figlio non può essere il termometro dell’autostima di un adulto.
Quello che serve è una generazione di genitori che non voglia piacere, ma lasciare un’impronta. Che non abbia paura di essere “odiata per un giorno”, se serve a essere rispettata per tutta la vita.
di NATALIA SESSA






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