Studente 19enne si toglie la vita dopo la mancata ammissione all’esame di maturità: "Serve più supporto psicologico"
- La Redazione
- 13 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Una tragedia che scuote la provincia di Savona: un giovane di 19 anni si è tolto la vita dopo la mancata ammissione alla maturità...

Un ragazzo di 19 anni, di origini maghrebine e residente a Cairo Montenotte, si è tolto la vita nella notte tra l’11 e il 12 giugno, lasciando attonita e senza parole l’intera comunità savonese. Il suo corpo è stato ritrovato da un amico all’interno dell’ex centrale elettrica dismessa, nei pressi del passaggio a livello della linea ferroviaria Savona-Alessandria.
Secondo quanto ricostruito finora, il giovane si sarebbe recato nella zona industriale dismessa, avrebbe salito le scale della struttura e poi si sarebbe lasciato cadere nel vuoto. Un gesto estremo che lascia un biglietto dietro di sé — parole scritte che raccontano, almeno in parte, i motivi di un dolore troppo grande da contenere.
Tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti, la mancata ammissione agli esami di maturità, che potrebbe aver rappresentato la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo. Ma non sarebbe l’unica causa.
È probabile che quel biglietto contenga frammenti di un malessere più profondo, radicato, forse mai davvero ascoltato.
Oggi ci stringiamo nel dolore alla famiglia, agli amici, alla comunità scolastica, travolti da un lutto che pesa come un macigno e che segnerà per sempre chi ha conosciuto e voluto bene a questo ragazzo. Ma non possiamo fermarci allo sgomento. Dobbiamo chiederci: cosa possiamo fare perché tragedie così non accadano più?
I giovani sono fragili. Sono pieni di domande, spesso senza risposte. Vivono pressioni, paure, insicurezze. Crescono in un mondo veloce, competitivo, dove il fallimento sembra non essere ammesso.
E allora ogni inciampo può trasformarsi in un abisso. È per questo che il sistema scolastico deve diventare sempre più anche un presidio psicologico ed esistenziale, un luogo dove si coltiva non solo il sapere, ma anche il senso profondo della vita. Anche nella famiglia si deve coltivare questo senso della vita come valore assoluto che prevalga su qualsiasi delusione. Perdere un anno è una caduta ma deve essere un nuovo punto per ripartire. I nostri giovani spesso sono fragili, non sono abituati a cadere perché sempre più protetti.
La scuola come la famiglia sono il posto in cui ogni ragazzo e ragazza impara che la vita è un dono meraviglioso, che vale sempre la pena vivere, anche quando sembra perdere significato. Sono il luogo in cui si insegnano la resilienza, la fiducia, il coraggio di ricominciare. Dove il fallimento non è una condanna.
Non possiamo accettare che un banco vuoto resti l’unica eredità di un giovane che ha smesso di sperare. Non possiamo lasciare che il silenzio e l’indifferenza vincano sul bisogno di cura, ascolto e vicinanza.
Che questa tragedia sia un monito. Che spinga tutti - educatori, istituzioni, famiglie - a fare di più. Perché nessun ragazzo debba mai più pensare che la sua vita non valga la pena di essere vissuta.
di NATALIA SESSA
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