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Maturità 2025: “Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l'analisi del testo

Si tratta di un romanzo considerato oggi come uno dei capolavori della letteratura del Novecento e tradotto...

Inizia oggi l'esame di Maturità 2025 e tra le tracce proposte ai maturandi per la prima prova scritta ritroviamo un brano tratto da "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Giuseppe Tomasi nacque a Palermo il 23 dicembre del 1896, figlio di Giulio Maria Tomasi e di Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò. Rimase figlio unico dopo la morte della sorella maggiore Stefania, avvenuta a causa di una difterite. Fu molto legato alla madre, donna dalla forte personalità, che ebbe grande influenza sul futuro scrittore.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore dell'unico romanzo “Il Gattopardo”, fu un personaggio solitario e trascorse buona parte della sua vita immerso nella lettura.


IL GATTOPARDO

L'opera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, "Il Gattopardo", dopo i rifiuti ricevuti dalle principali case editrici italiane (Mondadori, Einaudi, Longanesi), fu pubblicata postuma da Feltrinelli nel 1958, un anno dopo la morte dell'autore, vincendo il Premio Strega nel 1959 e diventando ben presto un classico intramontabile ed uno dei romanzi più apprezzati nel panorama della letteratura italiana ma anche mondiale.

L'autore aveva contemplato da tempo l'idea di scrivere un romanzo basato sulle vicende della sua famiglia, gli aristocratici Tomasi di Lampedusa, ed in particolar modo sul bisnonno, il principe Giulio Fabrizio Tomasi - nell'opera trasposto nella figura del principe Fabrizio Salina - vissuto durante il Risorgimento.

Il romanzo, alla luce dello sbarco dei garibaldini in Sicilia, segue le vicende della famiglia Salina.

Il Palazzo Lampedusa fu gravemente lesionato, e pressoché distrutto, dai bombardamenti aerei delle forze Alleate il 5 aprile 1943, durante la Seconda guerra mondiale, e saccheggiato.

L'autore, a fronte di tale tragedia, fu talmente sconvolto che non parlò per i successivi tre giorni e così si ritrovò a dover affrontare una lunga depressione: egli, infatti, amava profondamente la grande casa di Palermo, simbolo di secoli di storia e di orgoglio familiare, dov'era nato e dove avrebbe voluto morire; per tale ragione passarono altri 10 anni prima che Tomasi cominciasse a scrivere il suo romanzo.

L'opera venne scritta a mano e la stesura continuò per due anni e mezzo, fino al 1957, l'anno della morte dell'autore.

Si tratta, pertanto, di un romanzo considerato oggi come uno dei capolavori della letteratura del Novecento e tradotto in tante lingue.

Più dettagliatamente tale opera, connotata per una scrittura raffinita, sottolinea l'importanza di comprendere fino in fondo cosa si intenda per cambiamento, tenuto conto dell'identità di ciascun popolo.


PROPOSTA A2

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, prefazione di Giorgio Bassani, Feltrinelli, Milano, 1992, pp. 166-168

«La prima visita di Angelica alla famiglia Salina, da fidanzata, si era svolta regolata da una regia impeccabile, e le comunicazioni lente ed astratte erano state perfette a tal punto che sembrava suggerito parole per parola dal “Galateo”. A fine di una settimana il soggiorno era terminato improvvisamente: nessuno dei presenti aveva potuto dire se la partenza di Angelica fosse stata imposta o decisa: il quale atto di suprema padronanza del meccanismo domestico lasciava tutti ammirati. La seconda visita, quella che ora si stava per compiere, era invece destinata ad essere ben diversa: la presenza di Tancredi, la sua intimità con Angelica, la loro reciproca indifferenza per il principio, che aveva presieduto la prima visita, avrebbero dato a questa un tono ben diverso: le soffici trine ricoperte di polvere, le poltrone imbottite di crine, i tappeti sbiaditi, i ritratti di famiglia, tutto avrebbe avuto un aspetto meno solenne, più umano, più caldo. Angelica era giunta, e la sua bellezza, la sua grazia, la sua intelligenza, la sua ricchezza, avevano fatto dimenticare a tutti la sua origine borghese. Don Fabrizio, che aveva sempre avuto un debole per la bellezza femminile, si sentiva già preso dal fascino di quella ragazza, e si era già affezionato a lei come a una figlia. Angelica si sentiva perfettamente a suo agio, e il suo affetto per Tancredi si rifletteva in una gentilezza particolare verso tutti i membri della famiglia. La principessa, che aveva accolto Angelica con una certa freddezza, si era lasciata conquistare dalla sua dolcezza e dalla sua vivacità. Solo Concetta, la figlia maggiore, continuava a guardarla con una certa diffidenza, ma anche lei, a poco a poco, si lasciava vincere dal fascino della nuova venuta. Si avvicinava così il momento della partenza, e tutti sentivano che quella visita aveva segnato l’inizio di una nuova epoca per la famiglia Salina. “Sono fatti che fanno epoca”, pensava don Fabrizio, e si sentiva un po’ più vecchio, un po’ più stanco, ma anche un po’ più sereno. “Zione”: Angelica lo chiamava così, e in quella parola c’era tutto l’affetto, tutta la riconoscenza, tutta la fiducia che la ragazza sentiva per lui. Don Calogero, il padre di Angelica, era soddisfatto: la figlia era stata accolta come una principessa, e lui stesso si era sentito trattato con rispetto e considerazione. Solo la moglie di don Calogero, una donna timida e riservata, era rimasta un po’ in disparte, ma nessuno sembrava farci caso. Don Calogero, per parte sua, si preoccupava di apparire sempre all’altezza della situazione, e per questo motivo, quando qualcuno gli chiedeva notizie della moglie, rispondeva con frasi vaghe e rassicuranti, senza mai entrare nei particolari. In realtà, la povera donna soffriva di una malattia cronica che la costringeva a vivere quasi sempre in casa, ma don Calogero preferiva non parlarne, per non suscitare compassione o imbarazzo.»





di VALENTINA TROPEA



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