Lucangeli: “Un insegnante che abbandona l’allievo è quello che non offre uno sguardo di tenerezza, che non dimostra attenzione né alleanza, limitandosi a constatare e sanzionare l’errore"
- La Redazione
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È importante un sistema di valutazione capace di ottenere autenticamente il meglio da ogni allievo e non di un ciclo continuo dove lo studente apprende e memorizza, l’insegnante valuta e…

Il rendimento scolastico appare oggi più che mai un aspetto sul quale soffermarsi a riflettere: molti genitori, infatti, sembrano essere maggiormente interessati ai risultati conseguiti dai figli a scuola, piuttosto che al loro benessere psicofisico.
Tuttavia appare necessario chiarire un aspetto di notevole importanza: è possibile, per un insegnante, misurare i risultati scolastici conseguiti da un allievo senza però trasformarsi in un giudice ma in un alleato dello studente?
A tal fine Daniela Lucangeli, stimata scienziata e docente di Psicologia dello sviluppo all'Università di Padova, in maniera precisa e dettagliata, esprime il suo pensiero al riguardo in tal modo:
“Se un insegnante dà a un ragazzo un voto basso, ma gli dice: «D’accordo, abbiamo preso 4, cosa vogliamo fare adesso? Cerchiamo di togliere questi errori insieme?», passa dal ruolo di giudice a quello di alleato. Per fare questo non ci vogliono schede, non ci vogliono libri. Ci vuole consapevolezza professionale, coscienza di come si insegna, di come si segna in, di come si mette il segno dentro l’Io”.
Si tratta, quindi, di un sistema di valutazione capace di ottenere autenticamente il meglio da ogni allievo e non di un ciclo continuo dove lo studente apprende e memorizza, l’insegnante valuta, e così via discorrendo senza alcuna interruzione ma determinando un’inutile saturazione.
“La valutazione oggettiva del rendimento è un processo introdotto nella scuola come garanzia di una misura equa, che metta proprio al riparo dal giudizio soggettivo: il presupposto è che misurare sia giusto, giudicare sia controproducente; dunque il principio di misura deve essere utilizzato per comprendere dove l’allievo ha bisogno di supporto, non deve essere sfruttato per giudicare un allievo ancor più severamente di quanto si farebbe se una valutazione standardizzata non fosse prevista. Il giudizio svalutante è controproducente non solo perché non aiuta affatto a «togliere l’errore», ma perché genera una vera e durevole sofferenza”, questa la profonda riflessione della docente di Psicologia dello sviluppo all'Università di Padova attraverso la quale appare evidente il passaggio dall’errore alla sofferenza.
Oltre al giudizio svalutante, altro aspetto negativo di fronte all’errore è l’abbandono: “un insegnante che abbandona l’allievo è quello che non offre uno sguardo di tenerezza, che non dimostra attenzione né alleanza, ma è anche quello che si limita a constatare e sanzionare l’errore, anziché guardarvi come a un’opportunità per rinforzare il punto debole del meccanismo di apprendimento”.
Il buon maestro, invece, diventa alleato del bambino, cercando di capire assieme a lui perché l’errore è accaduto ed aiutandolo a correggersi.
Dunque come si può aiutare un bambino che ha difficoltà nell’apprendimento? È molto importante ricordare che non si deve sostituire l’allievo nel suo impegno perché altrimenti non lo si accompagna verso l’autonomia, ma al contempo non lo si può neppure abbandonare.
Esistono, principalmente, tre diversi livelli di aiuto.
Il primo livello di aiuto è l’esposizione: si crea, cioè, un ambiente di apprendimento adatto alle caratteristiche del bambino. “Facciamo un esempio: se vogliamo insegnare a un bambino a salire una scala, possiamo semplicemente metterlo di fronte a una scala e vedere se impara da solo a farlo”.
La seconda fase è la facilitazione: si rende il compito più semplice. “Se il bambino non ci riesce da solo, dobbiamo rendere più facile il salire: possiamo abbassare il gradino, mettere un corrimano, dargli una mano”, così come ci spiega dettagliatamente Daniela Lucangeli.
Il terzo è il livello dell’aiuto. Occorre comprendere perché il bambino non riesce a salire la scala ed utilizzare delle strategie adeguate a combattere l’errore.
Dunque un buon maestro è colui in grado di offrire uno sguardo di tenerezza all’allievo, dedicandogli le giuste attenzioni, non limitandosi a constatare e sanzionare l’errore ma trasformando quest’ultimo in un’opportunità di crescita, comprendendo fino in fondo quali strategie attuare per aiutare il bambino nell’ambito del suo processo di apprendimento.
di VALENTINA TROPEA