Scuola: La “bocciatura” non sia più stigma ma occasione di crescita, necessario cambiare il nome. La tragedia che interroga la scuola di oggi...
- La Redazione

- 1 set
- Tempo di lettura: 2 min
La tragedia di Latina riapre il dibattito: non basta parlare di “bocciatura”, serve educare al valore di un anno in più come occasione di crescita e non come stigma...

La morte della studentessa di 17 anni, avvenuta nei giorni scorsi all’ospedale “Santa Maria Goretti” di Latina, a causa della caduta dal quinto piano della sua abitazione a Latina, per la bocciatura agli esami di riparazione, scuote le coscienze. Non bastano le indagini e le ricostruzioni per colmare il dolore, l’episodio ci obbliga a riflettere sul ruolo che la scuola assegna oggi alla parola “bocciatura”.
Negli ultimi decenni la scuola italiana si è progressivamente disabituata a fermare un alunno. La promozione è diventata quasi un automatismo, un diritto scontato, che accompagna gli studenti sin dalla primaria. In questo modo, però, si rischia di privare i ragazzi di un insegnamento fondamentale: quello che un passo indietro, se compreso e accompagnato, può trasformarsi in occasione di crescita.
Il “fermarsi un anno” non è la fine di un percorso, ma può essere un tempo prezioso per consolidare competenze, maturare, trovare nuove motivazioni.
Andrebbe presentato come un’opportunità di rinforzo, non come un marchio d’inadeguatezza. È il linguaggio stesso a tradire questa prospettiva: il termine “bocciatura” evoca fallimento, esclusione, stigma. Forse dovremmo avere il coraggio di chiamarlo diversamente, con parole che restituiscano dignità e valore educativo.
Educare un bambino sin dai primi anni a considerare anche la possibilità di fermarsi, non come un trauma ma come un passaggio naturale, aiuterebbe a ridimensionare il peso psicologico che oggi una bocciatura porta con sé. Solo così la scuola potrà tornare a essere davvero una palestra di vita, non un binario da cui è vietato deragliare.
di LA REDAZIONE
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