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Crepet: "Una madre che uccide il proprio bambino è una donna sola. Non abbiate paura delle fragilità e del senso di comunità ma riscopritelo"

La famiglia curava le ferite, era custode di segreti ora invece è diventato luogo di silenzi e di realtà inconfessabili, a tal proposito afferma Crepet...

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È facile giudicare una situazione, è molto più complicato immedesimarsi e capire dinamiche e anche fallimenti di un ruolo che dovrebbe essere naturale ma che nasconde responsabilità, obblighi e doveri. I recenti fatti di cronaca, per quanto inimmaginabili, sono reali e gridano un messaggio forte e chiaro: la nostra società sta fallendo. Ci riferiamo nello specifico a tutti quei casi, anche molto recenti, dove le madri in preda all'insostenibilità di un ruolo hanno ucciso i loro figli.  Proprio ieri, 13 novembre, a Trieste una madre separata dal suo compagno ha ucciso il figlio di 9 anni.

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Da quanto è emerso la comunità di Trieste, compreso il parroco, non era a conoscenza della loro fragile situazione familiare. Paolo Crepet in passato ha analizzato e commentato casi di simile gravità, per esempio quello di Chiara Petrolini, 22 anni, che ha seppellito i figli appena nati in giardino. Ora la ventiduenne è a processo.  A tal proposito l’esperto aveva dichiarato: “Non è solo una questione di genere. C’è qualcosa che non funziona”. Lo scenario che ha descritto il sociologo parla di un mondo solitario, parla di un mondo abitato da individui che hanno quasi paura ad avvicinarsi alle fragilità altrui, quando in realtà, sarebbe l’unico modo per superarle:  “Un mondo ormai corrotto dalla solitudine, in cui ognuno è abbandonato a se stesso. Ci ritroviamo spesso di fronte a storie di solitudine gigantesche, di un malessere psicologico che nessuno riconosce o riesce a intercettare. È come se ognuno avesse vita a sé: non esiste più il senso di comunità”.

L’esperto interviene anche sulla famiglia, una volta era in questa che si parlava dei problemi, che si cercava tutti insieme di porre rimedio. La famiglia curava le ferite, era custode di segreti ora invece è diventato luogo di silenzi e di realtà inconfessabili, a tal proposito afferma Crepet: "Ormai si parla di residui di famiglia. La famiglia, intesa come comunità che ascolta, che sostiene e che vive per l’altro, non esiste più. Certo, ci sarà chi dice che questi sono casi eccezionali, ma se li mettiamo tutti in fila, il quadro che emerge è preoccupante".

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Il sociologo già tempo fa parlava di una “rivoluzione culturale” che ancora non sembrerebbe essere colta, soprattutto dalle istituzioni, dalle strutture competenti le uniche in grado di poter supportare davvero: “È visibile a tutti la quantità di indifferenza nei confronti dell’altro, eppure non si sta facendo nulla” -  Queste, dichiara Crepet  “Sono situazioni che degenerano, ma non da ieri, non da un mese. Famiglie litigiose, in cui manca un arbitro in grado di dare equilibrio. In alcuni casi contribuiscono anche eventuali disturbi psichici. Spesso ci sono famiglie che non hanno le risorse per rivolgersi a specialisti o che nemmeno capiscono la necessità di un intervento di qualcuno”. Per l'esperto è arrivato il momento di renderci conto che abbiamo toccato il fondo : "L’avevamo capito oltre 30 anni fa con il delitto Maso, e poi 20 anni fa con quello di Novi Ligure e ancora con l’infanticidio di Cogne”, questi non sono casi isolati perché se li mettiamo insieme nascondono tutti un unico messaggio che, come ha già ribadito, parla di solitudine, scarsi aiuti, incomprensione e menefreghismo.

Ma c’è un modo per ristabilire gli equilibri, c’è un modo per porre fine o quanto meno intervenire su tali drammi ed è quello di agire sui più piccoli “Dall’educazione dell’infanzia”, a tal proposito conclude l’esperto : “ Le nostre case sono piene di bambini che giocano da soli nelle proprie camere, mentre i cortili sono vuoti. Non possiamo accettarlo. I bambini che giocano insieme si relazionano, costruiscono rapporti, imparano a perdere: tutto questo oggi viene sostituito dalla tecnologia. Potrò anche sbagliarmi, ma i fatti, per ora, danno ragione a me”.

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Inoltre, la maternità è un’esperienza unica, meravigliosa ma cela anche molte insidie, non a caso spesso sentiamo parlare di depressione post-partum, ma questa è una condizione che può perdurare nel tempo e senza una famiglia che assiste e supporta il carico di incombenze pesa su una sola figura già esile. Esistono anche storie di donne che non hanno un marito, un compagno o una famiglia accanto per molte altre ragioni, in quel caso dovrebbero intervenire le istituzioni. In molti paesi esteri esiste già da tempo l’assistenza psichiatrica domiciliare, l’Italia invece resta all’oscuro di tutto questo. Nel nostro paese dovremmo avere maggiore accortezza della salute mentale, per noi, per i nostri figli e per la nostra società. 


di NATALIA SESSA

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