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Emergenza dipendenza da smartphone tra gli adolescenti: creazione di un patto educativo digitale che possa stabilire regole chiare, azioni condivise e strumenti di supporto

"Tra i più gravi, quello che ha coinvolto un giovane ricoverato d’urgenza per una vera e propria crisi d’astinenza da smartphone presso... "


Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ritiene necessario nuovamente richiamare l’attenzione su un fenomeno sempre più urgente e pervasivo: la dipendenza da smartphone tra adolescenti. I segnali di allarme sono ormai quotidiani.


Tra i più gravi, quello che ha coinvolto un giovane ricoverato d’urgenza per una vera e propria crisi d’astinenza da smartphone presso l’Ospedale San Luigi di Orbassano. Secondo gli specialisti, non si tratta più di semplici “eccessi giovanili”, ma di una forma di dipendenza che può modificare i circuiti cerebrali, ridurre le funzioni cognitive e avere conseguenze psicologiche rilevanti.


“L’uso problematico dello smartphone” (Problematic Smartphone Use – PSU), una condizione che, pur non essendo ancora formalmente riconosciuta come disturbo clinico, colpisce tra il 10% e il 30% degli adolescenti si manifesta con un uso eccessivo del telefono, la difficoltà a separarsene anche per brevi periodi, ansia crescente in assenza del dispositivo, isolamento sociale, calo del rendimento scolastico e, nei casi più gravi, sintomi depressivi.

I numeri parlano chiaro. Secondo una ricerca Changes Unipol / Kkienn, il 64% dei giovani utilizza lo smartphone in modo continuativo, il 57% lo fa fino a tarda notte, compromettendo il sonno. Il 30% riconosce un impatto negativo su studio, lavoro o relazioni sociali.


E ancora: il 50% sperimenta ansia da notifica e il 40% dichiara di preferire i contatti online a quelli dal vivo.

Ma un dato sorprendente, e forse incoraggiante, emerge dai giovani stessi. Sempre più ragazzi iniziano a riconoscere la natura tossica di un certo uso della tecnologia. Secondo il prof. Jonathan Haidt, autore del recente saggio The Anxious Generation, il 45% dei ragazzi sotto i 25 anni afferma che non regalerebbe uno smartphone a un figlio prima dei 14 anni. E molti sarebbero disposti a rinunciare a TikTok, Snapchat o Instagram.



L’uso precoce e incontrollato degli smartphone è allarmante: oggi l’età media del primo telefono si è abbassata a 9 anni e quasi la metà dei bambini di 10-11 anni ha già profili social attivi. Le conseguenze sono evidenti: difficoltà di concentrazione (segnalata dall’82% degli insegnanti), aumento dei disturbi del sonno e crescita del cyberbullismo, fenomeni che il Ministero ha tentato di contenere con il divieto d’uso dei cellulari durante le lezioni, esteso progressivamente a tutte le scuole.

Il solo divieto tuttavia non basta se non è accompagnato da un progetto educativo ampio e condiviso, che coinvolga attivamente scuola, famiglia e istituzioni. Non basta “vietare”: bisogna insegnare a usare consapevolmente la tecnologia, promuovendo il pensiero critico, l’autonomia e il benessere emotivo.


In tale, complesso, contesto, il CNDDU propone la creazione di un Patto Educativo Digitale, un’intesa tra scuola, famiglie e studenti che possa stabilire regole chiare, azioni condivise e strumenti di supporto. Tra le misure concrete, si inserisce anche l’introduzione obbligatoria di sistemi come le custodie Yondr, già sperimentate in alcune scuole italiane, che permettono di bloccare l’uso dello smartphone durante le ore di lezione senza sottrarlo agli studenti.

Queste iniziative, affiancate da percorsi di formazione per docenti e genitori, da sportelli psicologici e da attività educative attive, vogliono restituire alla scuola il suo ruolo di luogo di apprendimento autentico, dove i giovani siano protagonisti e non spettatori passivi, capaci di sviluppare competenze di problem solving e pensiero critico, così carenti secondo l’indagine OCSE-PISA 2022.


Il patto si baserebbe su alcuni principi concreti:

  • introdurre regole condivise sull’uso degli smartphone a scuola;

  • promuovere percorsi di educazione digitale che insegnino a gestire tempo, notifiche, algoritmi, privacy;

  • offrire formazione specifica per docenti e genitori sui rischi legati all’iperconnessione;

  • attivare sportelli psicologici scolastici competenti anche sul fronte delle nuove dipendenze;

  • valorizzare app e strumenti etici per monitorare e limitare l’uso compulsivo del telefono.


Tra questi strumenti, uno dei più innovativi è Clearspace, un’app pensata per aiutare le persone – e in particolare i giovani – a ridurre il tempo trascorso davanti allo schermo. Il suo funzionamento è semplice ma efficace: si imposta un numero massimo di accessi giornalieri per app come Instagram o TikTok, oltre a un tempo limite. Raggiunto il limite, l’app blocca l’accesso, “espellendo” l’utente. Inoltre, permette di monitorare anche il comportamento degli amici, incentivando dinamiche di supporto reciproco e sfide positive. “Non è il tempo davanti allo schermo a essere sempre sbagliato – spiega Royce Branning, cofondatore di Clearspace – ma l’uso improprio che ne facciamo. Il nostro obiettivo è aiutare le persone a riappropriarsi del proprio tempo”.


Ma se da una parte la tecnologia può essere parte della soluzione, dall’altra serve un cambiamento culturale più profondo, che parte dalla famiglia. Le ultime ricerche hanno infatti dimostrato che lo stile educativo dei genitori può influenzare significativamente il comportamento digitale dei figli. Un rapporto basato su comunicazione, ascolto e sostegno emotivo riduce la dipendenza da smartphone molto più di un approccio punitivo e rigido. In particolare:

  • la mediazione positiva attiva, ovvero l’incoraggiamento a usare il telefono in modo costruttivo, aiuta a sviluppare un rapporto sano con la tecnologia;

  • il co-utilizzo (genitori e figli che navigano o giocano insieme) rafforza la fiducia e riduce la pressione sociale;

  • la mediazione restrittiva, se condivisa e motivata, può funzionare, ma deve evitare imposizioni cieche o punitive;

  • la mediazione negativa (basata solo sull’enfasi dei pericoli) rischia di peggiorare la situazione, soprattutto se adottata dalle madri.


Il messaggio è chiaro: serve un’alleanza educativa, non solo norme e controlli. Serve aiutare i ragazzi a capire, non solo proibire. Serve riscoprire il valore della relazione autentica, del tempo libero non mediato da uno schermo, delle esperienze concrete.

Il CNDDU invita quindi tutte le scuole, i genitori, le istituzioni educative e gli stessi studenti a riflettere sul ruolo che vogliamo assegnare alla tecnologia nella vita quotidiana. E chiede che il tema dell’educazione digitale venga finalmente affrontato con la serietà e la visione sistemica che merita.

Perché solo attraverso un’azione condivisa sarà possibile restituire ai nostri ragazzi un presente più libero, più consapevole e più umano.



di LA REDAZIONE



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