CREPET: “DOBBIAMO AVERE LA DIGNITÀ DI NON RACCONTARCI BALLE”. SULL’OMICIDIO DELLA 14ENNE MARTINA, LA COLPA È NOSTRA
- La Redazione
- 2 giorni fa
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La tragica morte di Martina Carbonaro scuote la coscienza collettiva. Ma qual è la vera responsabilità dietro questa tragedia?

Sono giorni che si parla di Martina Carbonaro, la giovane 14enne brutalmente uccisa da un ragazzo di 19 anni che non ha accettato un rifiuto. Il giovane ha portato Martina in una zona disabitata del loro paese, l’ha colpita a bastonate e poi ha nascosto il corpo, ritrovato poche ore dopo dai Carabinieri grazie alla sua confessione. Questa notizia ha lasciato tutti senza parole, ma purtroppo casi come questo non sono più eccezioni: sono ormai tragedie che si ripetono quotidianamente, segnando un’emergenza sociale ed educativa.
Ma esiste un modo per contrastare questa violenza e questo odio inaudito?
La risposta, in parte, risiede nella famiglia, quella prima “scuola” in cui si costruisce la struttura emotiva di ogni individuo. È lì che si imparano i valori della gentilezza, del rispetto e dell’accettazione dell’altro, attraverso l’esempio costante e amorevole dei genitori.
Paolo Crepet, commentando il caso Carbonaro all’Adnkronos, ha espresso con durezza questa riflessione: “Sono 30 anni che lo dico, ma per favore.
Chi afferma che ci sono esseri umani che fino al sabato pomeriggio sono dei santi e poi lunedì sono dei feroci assassini, lo raccontino nelle più brutte favole della storia. Ciò che sta accadendo è quello che abbiamo voluto. Se uno ha un profilo social a 11 anni, c’è un problema. Di fronte a una morta ammazzata almeno la dignità di non raccontarci le balle tra noi.”
Crepet punta il dito contro chi “sceglie di stare zitto”, per un quieto vivere che ormai ha portato la nostra società sull’orlo del baratro: “Basta, finiamola. Siamo in un baratro per puro egoismo, per pace sociale, perché non vogliamo sentire il peso di tutta questa cosa. Questa sera decine di migliaia di ragazzine a 13 anni usciranno, non alle nove, ma a mezzanotte. Non ho mai conosciuto un padre che si mette davanti alla porta. Anzi, quel padre o quella madre non solo aprono la porta e dicono ‘divertiti’, ma gli danno pure 100 euro. La colpa è di chi sceglie di star zitto, di far l’indifferente, di chi dice ‘ah, ma chissà da quale famiglia è venuto fuori quello lì, noi siamo un’altra cosa’.”
Questa critica non è rivolta a singoli, ma all’intera comunità che troppo spesso abdica alla responsabilità educativa. Oltre a insegnare il rispetto e la gentilezza, le famiglie devono educare i propri figli ad accettare il rifiuto, a gestire l’abbandono e il dolore. Dietro gesti di violenza così forti si celano ferite profonde e fragilità spesso ignorate o trascurate. In questo scenario, il ruolo dei genitori è cruciale: non si tratta di essere permissivi per evitare reazioni, ma di esercitare un’autorevolezza affettuosa, necessaria a far comprendere ai giovani che “non tutto è possibile”. Quella stessa autorevolezza che, come dimostrano le cronache, sta progressivamente venendo meno, lasciando vuoti difficili da colmare e aprendo la strada a tragedie inaccettabili.
di NATALIA SESSA