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TFS erogato fino a 7 anni dal pensionamento pure a rate mentre nel settore pubblico bastano 45 giorni per avere tutto, Anief rompe gli indugi: si costituisce alla Consulta e lancia petizione ad hoc

"È semplicemente assurdo che un dipendente pubblico debba attendere fino a 7 anni prima di ricevere quanto gli... "


È semplicemente assurdo che un dipendente pubblico debba attendere fino a 7 anni prima di ricevere quanto gli spetta, contro i 45 giorni del settore privato, e poi percepisca la somma dovuta anche a rate: alla luce dell’indifferenza generale contro questa attesa ingiusta e discriminante – che sovverte anche la decisione della Corte costituzionale nel 2023, che ha dichiarato anticostituzionale il differimento della liquidazione ai dipendenti pubblici che hanno raggiunto i limiti di età o di servizio -, il sindacato Anief ha deciso di rompere gli indugi costituendosi alla Consulta contro la norma che ritarda e rateizza la liquidazione per il personale scolastico per violazione degli articoli 36 e 117 della Costituzione italiana. Conteggiando tutti i comparti pubblici, dal 2011 in poi questa ingiustizia è stata vissuta in prima personale da circa 2 milioni di cittadini che hanno lasciato il lavoro.


Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “il ritardo del pagamento del Tfs appare ancora più illogico se si pensa che liquidazione è una retribuzione differita ed è pagata per un sesto dal lavoratore con la trattenuta del 2,5%: si tratta, peraltro, di una trattenuta che il sindacato, con una specifica petizione, ha chiesto di rimuovere per i neoassunti dal 2001 transitati a regime TFR che nel settore lavorativo privato è interamente a carico del lavoratore”.

Nella richiesta formulata alla Corte Costituzionale, presentata in qualità di amicus curiae gli avvocati Walter Miceli e Nicola Zampieri, operanti per il giovane sindacato, hanno rimarcato “la tesi dell’incostituzionalità delle norme censurate nella presente causa, in quanto lesive dei diritti patrimoniali dei lavoratori pubblici, già maturati, e quindi inviolabili, in quanto costituiscono retribuzione differita spettante al termine del rapporto di lavoro”. Inoltre, i legali hanno evidenziato “la rilevanza sistemica della questione per migliaia di lavoratori precari o di ruolo del comparto scolastico, la cui dignità retributiva e previdenziale risulta compromessa dall’ingiustificato e sproporzionato differimento e frazionamento nel pagamento del TFS, in assenza di una reale emergenza finanziaria o di una misura transitoria”.


Sempre nella richiesta alla Consulta, si ricorda che “ogni anno decine di migliaia di dipendenti, in particolare docenti e personale ATA, cessano dal servizio per raggiunti limiti di età o di servizio senza percepire il tratta-mento di fine servizio (TFS), nonostante quest’ultimo costituisca a tutti gli effetti una retribuzione differita. Il differimento di dodici mesi per la liquidazione del TFS (art. 3, comma 2, del D.L. 79/1997) e la sua ulteriore rateizzazione (art. 12, comma 7, D.L. 78/2010) rappresentano, per costoro, una misura sproporzionata e ingiustificata, che comprime illegittimamente la fruizione concreta di un diritto già acquisito. Come chiarito da questa Ill.ma Corte l’indennità di fine rapporto costituisce infatti una retribuzione differita, ossia un compenso che il dipendente ha conseguito come corrispettivo dell’attività lavorativa e che fa già parte integrante del suo patrimonio, tanto è vero che in caso di decesso prematuro del lavoratore l’emolumento viene erogato ai congiunti superstiti (cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 243 del 1993). Ne deriva che la tempestiva erogazione del trattamento di fine servizio costituisce un corollario indispensabile dei principi di proporzionalità e adeguatezza della retribuzione sanciti dall’art. 36 della Cost.”.


La questione di legittimità costituzionale è stata già “sollevata dal TAR del Lazio”, ricorda il sindacato Anief, e riguarda, in modo specifico, “il differimento e la rateizzazione del Trattamento di Fine Servizio (TFS) dei dipendenti pubblici collocati in quiescenza, ritenuti in contrasto con l'art. 36 della Costituzione e con l'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione al parametro interposto dell'art. 1 del protocollo n. 1 allegato alla CEDU”. Nella richiesta sindacale formulata alla Consulta, infine, si rammenta che “anche questa Ecc.ma Corte, nella sentenza n. 152/2020, ha chiarito che non è l’equilibrio di bilancio a condizionare l’erogazione di diritti incomprimibili, ma è piuttosto la garanzia di questi ultimi a dover guidare le politiche pubbliche. Il principio di pareggio di bilancio, inserito in Costituzione, non può pertanto fungere da scudo per legittimare la sospensione indefinita di diritti fondamentali, specie se patrimoniali e già maturati”.


IL PROBLEMA

Dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, la legge n. 448/1998, recante “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo”, demanda a un DPCM la definizione della struttura retributiva e contributiva dei dipendenti pubblici che passano a partire dai neo-assunti dal 1 gennaio 2001 dalla vecchia liquidazione, il precedente regime del TFS (trattamento di fine servizio) con aliquota maggiore e trattenuta del 2,5% o dell’IBU (indennità di buonuscita) al regime del TFR (trattamento di fine rapporto) con aliquota del 9,41 e trattenuta del 2,5% su 80% dello stipendio, non previsto per i lavoratori privati dall’art. 2120 del Codice civile. I dipendenti degli Enti pubblici non economici, invece, alla cessazione del rapporto di lavoro hanno diritto a una indennità di anzianità (IA) a totale carico dell’Ente datore di lavoro e disciplinata dalla legge n. 70/1975.


LA PETIZIONE ANIEF

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, attraverso una petizione da alcuni giorni ha anche deciso di sollecitare il Governo ad abolire la trattenuta del 2,5% TFR per i neo-assunti dal 2001 e rimetterla integralmente a carico dello Stato quale datore di lavoro: questo, ha spiegato il sindacalista, “per garantire la parità di trattamento tra tutti i lavoratori del pubblico impiego e tra questi e quelli del settore privato, attraverso un intervento legislativo che realizzi anche quanto auspicato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 213/2018, così da salvaguardare la parità di trattamento contrattuale e retributivo, nel perimetro tracciato dalla contrattazione collettiva e dalla necessaria verifica della compatibilità con le risorse disponibili. Tale principio di parità di trattamento si pone a ineludibile presidio dello stesso diritto a una retribuzione sufficiente e proporzionata”, ha concluso Pacifico.

Per chiedere di abolire la trattenuta 2,5% TFR e rimetterla a carico dello Stato e aderire alla petizione Anief cliccare qui.



di LA REDAZIONE



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