Galimberti ai genitori: “Fate meno regali e parlate di più con i vostri figli”, ecco perché è fondamentale
- La Redazione
- 20 giu
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 22 giu
Parlare con i figli non è solo educazione: è nutrimento emotivo. Galimberti spiega perché i regali non bastano più.

L’essere un punto di riferimento, una guida per i giovanissimi, fungendo da maestro di vita, presuppone una grande responsabilità, alla luce di una società nella quale dilagano sempre maggiormente fenomeni quali bullismo e violenza di genere.
Il disagio giovanile, infatti, aumenta esponenzialmente: sempre più spesso gli adolescenti tendono a coalizzarsi fra loro, a far gruppo, così da escludere il più debole, denigrandolo, deridendolo, spesso vessandolo moralmente e fisicamente, così da farlo soggiacere, portandolo all’esasperazione, isolandolo, ed inducendolo a gesti estremi. Quante volte, ad esempio, accade che venga deriso il ragazzo al quale è assegnato un professore di sostegno o la ragazza un po' in carne, quante volte vengono rivolti loro messaggi di odio e disprezzo come: “Non meriti di esistere” oppure “devi morire”, ed ancora quante altre i genitori fingono che non sia successo niente di grave e, giustificando i loro figli, affermano che si tratta solo di ragazzate, quindi nulla di importante o di cui preoccuparsi, girandosi dall’altra parte e non accorgendosi realmente della gravità della situazione.
A tal proposito il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti ci spiega come “oggi i genitori parlano pochissimo con i figli, soprattutto quando sono piccoli, e poi quando crescono si limitano a chiedere come vanno a scuola o a che ora della notte tornano, temendo che, contrastandoli o ponendo loro delle regole o dei limiti, che non hanno mai posto quando i figli erano piccoli, possa succedere il peggio”.
Il dialogo viene meno e succede il peggio “perché i genitori non si sono mai davvero chiesti che cosa accadeva ai loro figli nel loro mondo quando crescevano, non hanno mai parlato davvero con loro, li hanno semplicemente riempiti di giochi che stavano al posto di tutte le parole mancate”, così come ci spiega molto dettagliatamente il filosofo.
Nell’era della tecnica, dove i valori predominanti sono l’efficienza e la produttività, si mira al raggiungimento immediato del risultato, trascurando gli affetti e così i genitori preferiscono riempire i loro figli di regali ma non riescono a donare loro del tempo quantità e non qualità, non essendo più capaci di fungere da guida e da punto di riferimento, oberati dai sensi di colpa e privi di qualsiasi consapevolezza.
Il risultato è il bullismo: la psiche, non essendosi ancora evoluta a livello “emozionale”, non permette di registrare una risonanza emotiva delle proprie parole e delle proprie azioni, per cui non si riesce più a discernere il bene dal male ma si agisce in maniera leggera e superficiale, non avendo contezza del proprio operato.
Per tale motivo, afferma Umberto Galimberti, “la scuola è gravemente colpevole, perché i sentimenti non sono dati per natura, ma per cultura, come ci insegna la storia: dai primitivi che raccontavano miti, ai giorni nostri dove la letteratura narra storie per farci conoscere cos’è l’amore, il dolore, la noia, la disperazione, la speranza, la tragedia, il suicidio, il senso della vita e l’ineluttabilità della morte. E, quando non si conoscono i sentimenti, il terribile è già accaduto”.
Occorre, pertanto, ristabilire il giusto equilibrio, così da porre fine a quella che potremmo definire una vera e propria “anestesia emotiva”.
I giovani, crescendo, devono agire responsabilmente e consapevolmente, avendo contezza del proprio operato, recuperando la risonanza emotiva delle proprie azioni, ma ciò è possibile solo se i genitori ritorneranno a dialogare con loro, a trascorrere del tempo assieme, fungendo da esempio, senza privarli dell’affetto che è nutrimento della loro anima, presupposto imprescindibile per la crescita sana e consapevole di ciascun individuo.
Restituiamo, pertanto, ai giovani un futuro nel quale credere, nel quale sperare, così che possano imparare a guardarsi dentro, riscoprendo le proprie passioni ed ambizioni, ritornando a lottare per realizzare i propri sogni, non vivendo la loro vita con demotivazione ma sperimentando cosa significhi davvero essere felici, facendo fiorire le proprie virtù secondo misura, mirando alla propria autorealizzazione.
di VALENTINA TROPEA
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