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Crepet: "Il coraggio di dire le cose è il più grande esempio per i nostri figli. Non contano i minuti insieme ma come si sta insieme, grazie ad una comunicazione onesta si diventa persone autentiche"

Una comunicazione onesta e leale include anche difficoltà, insegna ai figli a diventare persone autentiche, che si lasciano attraversare dalle proprie emozioni...

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Molte volte i genitori si tormentano nel giudicarsi, nei sensi di colpa, credono di dover dare sempre il giusto esempio. Ma in fin dei conti qual è davvero il “giusto esempio ” da dare ai figli? È proprio per rispondere a questa domanda che Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, ha definito cosa secondo lui deve esserci in un rapporto tra genitore e figlio e cosa invece non deve mai mancare.

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Secondo l’esperto non sono gli esempi sempre giusti ed impeccabili ad educare un giovane bensì: “Avere il coraggio di dire le cose è il più grande esempio per i nostri figli”. “Dire le cose” secondo Crepet, vale anche per stati d’animo, per momenti di vita meno felici. Condividere con figli e famiglia, idee, fatiche quotidiane, insicurezze. Crescere i figli nella classica “famiglia del mulino bianco” dove tutto è sempre perfetto, sempre servito prima ancora che sopraggiunga la richiesta è l’ambiente ideale per accrescere paure ed insicurezze perché fuori le mura domestiche la vita non è sempre rosea, inoltre, per i genitori inseguire questa continua perfezione rende la quotidianità estremamente pesante.

Una comunicazione onesta e leale include anche difficoltà, insegna ai figli a diventare persone autentiche, che si lasciano attraversare dalle proprie emozioni. L’esperto si sofferma su un altro tema importante ovvero quella linea sottile che separa la responsabilità dal senso di colpa: “La responsabilità spinge a fare cose concrete per la famiglia, il senso di colpa è un peso emotivo che spesso non produce risultati utili”.

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La responsabilità permette ai genitori anche di ritagliarsi dei momenti per sé stessi, oppure di saper mettere dei limiti quando si è troppo stanchi o stressati per affrontare un’altra situazione. Mentre il senso di colpa non permettendo queste limitazioni rischia di fare troppo e male, infatti, come afferma Crepet: “Ho conosciuto donne con carriere pazzesche dall'astrofisica alla professoressa universitaria, anche in ruoli maschili, tutte corrose dai sensi di colpa. L’uomo va al lavoro anche se il figlio ha la febbre: la mamma invece fa 40 telefonate”.

Ma non è abbandono permettere ai figli di “badare a se stessi, a vivere, ad arrangiarsi”. Secondo l’esperto “il vero abbandono” nasce quando si hanno presenze assenti, quando non c’è tempo di qualità, quando non si investe sul legame ma solo sulla necessità di soddisfare il senso di colpa. A tal proposito afferma: “L’abbandono non è uscire a lavorare e magari tornare a casa e fare quattro chiacchiere con il figlio. L’abbandono è non esserci anche se siamo a casa, magari incollati al telefono”. Madri e padri quindi che non devono necessariamente seguire un modello, un prototipo ideale di genitore, ma devono essere loro stessi, insegnare a convivere con le fragilità, a superarle.

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Insegnare anche cosa vuol dire avere un orologio biologico che non sarà mai uguale a quello di un altro,  saper accettare i propri tempi e i propri limiti: “Serve maggiore serenità, vivere come si vuole, senza seguire il giudizio pubblico o l’icona del successo. Non contano i minuti insieme, ma come si sta insieme. Anche scegliendo insieme cosa mangiare. Cucinare insieme, viaggiare in macchina parlando: sono momenti della quotidianità che costruiscono la relazione”. 


di NATALIA SESSA

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