Sarà un insegnante formato in solitudine
A bocciare la figura del “docente esperto” anche il Movimento di Cooperazione Educativa. A tal proposito, sottolinea: “Sarà un insegnante formato in solitudine, che non si è sperimentato nel proprio team, collegio; che sarà inserito in percorsi che non hanno a che fare con i bisogni specifici delle scuola in cui opera; che non terranno conto dell’esperienza sul campo: la classe, la scuola, il team, il collegio che sono i luoghi dove la professionalità si esprime, si interroga, riflette per dare risposte al lavoro quotidiano; che non avrà imparato ad utilizzare il gruppo di colleghi come strumento di lavoro, a progettare insieme e formarsi, attraverso un apprendimento situato, alle dinamiche che caratterizzano la professione e la collegialità; che molto probabilmente avrà seguito percorsi organizzati con la fruizione personale di lezioni e interventi unidirezionali di formatori, e se ha tentato forme di integrazione teoria-pratica lo ha fatto senza uno sguardo intersoggettivo con i suoi colleghi”.
Nel documento della Segreteria nazionale del MCE è riportato : “Pensare che un docente diventi esperto così significa non tener conto che il sapere professionale (da intendersi come insieme unitario in cui interagiscono conoscenze personali, teorie di riferimento, competenze operative, modi di essere e capacità) evolve soprattutto se si mobilita la riflessione sulle pratiche e a partire da un bisogno. Le domande che l’insegnante si pone, nascono sicuramente in merito alla sua personale esperienza professionale, ma vanno contestualizzate in un gruppo di lavoro, nell’appartenenza ad una comunità di pratiche”.
Il Movimento sostiene : “Fondamentali allora sono la dimensione e la scelta collegiale della formazione, perché l’impegno culturale, didattico, organizzativo è parte integrante di una professione che si esprime nella collegialità, nella responsabilità diffusa, nel lavoro cooperativo, anche a livello delle discipline nei dipartimenti disciplinari”.
“La scuola – afferma la segretaria nazionale Anna D’Auria – ha bisogno di luoghi di formazione capaci di trasformare ogni istituto scolastico in un centro per lo sviluppo professionale e ogni collegio in un gruppo di apprendimento”.
Poi aggiunge: “Tra l’altro i contenuti dei percorsi formativi previsti dalla Legge 79/2022 e che qualificheranno il docente esperto (aggiornamento delle competenze pedagogiche, metodologiche e tecnologie didattiche; contributo al miglioramento dell’offerta formativa; l’inclusione scolastica; continuità e strategie di orientamento formativo e lavorativo; potenziamento delle competenze in ordine alla valutazione degli alunni) non possono essere concepiti come patrimonio di alcuni, ma devono poter diventare l’espressione di ogni collegio dei docenti”.
“Più che assegni ad personam – prosegue Anna D’Auria – per una scuola per tutti e tutte, vanno invece costruite più qualificate condizioni salariali e di organizzazione del lavoro, per facilitare la partecipazione ai percorsi formativi poiché l’impegno nella formazione continua e obbligatoria deve essere concepito come parte del profilo professionale dell’insegnante e non un accessorio, lasciato alla libera scelta (tra l’altro in vista di un compenso)”.
Il Movimento conclude con una osservazione che però non esclude affatto la possibilità che lo stato giuridico dei docenti preveda una qualche forma di sviluppo professionale: “Che vantaggio ne trae una scuola ad avere un insegnante per così dire esperto, se il resto del corpo docente non è coinvolto in processi di formazione continua, ricerca; se per tutti gli insegnanti gli istituti contrattuali restano inadeguati e il salario mortificante; se non si immagina una progressione di carriera legata a nuove figure che possano presidiare in modo competente alcuni nodi strategici della complessità del fare scuola (progettazione formativa, progettazione didattica e valutazione, interculturalità, documentazione delle esperienze, rapporti con il territorio, per citarne alcuni) ?”
di ISABELLA CASTAGNA
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