A tal proposito, così come ci sottolinea il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti, assistiamo ad una vera e propria “pubblicizzazione della propria intimità”: una società consumista, dove le merci per essere...

Con il passare del tempo anche le modalità con le quali relazionarsi agli altri sono profondamente mutate ed i rapporti umani hanno iniziato a conformarsi a regole ben precise, non potendo altrimenti trovare un’adeguata realizzazione.
A tal proposito, così come ci sottolinea il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti, assistiamo ad una vera e propria “pubblicizzazione della propria intimità”: una società consumista, dove le merci per essere prese in considerazione
devono essere pubblicizzate, finisce con il propagare un costume che contagia anche il comportamento degli uomini, i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra.
Ciascun soggetto sostituisce l’individualità con la pubblicità dell’immagine: in tal modo si ha l’esposizione della vita emotiva e la perdita del pudore. Siamo “es-posti” e ciò che prima caratterizzava la nostra interiorità adesso ha dovuto esteriorizzarsi come la pelle rovesciata di un serpente.
Chi non si mette in mostra, non pubblicizza la sua immagine ed i suoi sentimenti, rischia di non esistere, rimanendo nell’anonimato di una società dedita alla spettacolarizzazione dei sentimenti, persino del dolore e della disperazione.
“Per esserci bisogna apparire. E chi non ha nulla da mettere in mostra, non una merce, non un corpo, non un’abilità, non un messaggio, pur di apparire e uscire dall’anonimato mette in mostra la propria interiorità, dove è custodita quella riserva di emozioni, sensazioni, sentimenti, significati ‘propri’ che resistono all’omologazione, che, nella nostra società di massa, è ciò a cui il potere tende per una più comoda gestione degli individui”, così ci spiega il filosofo Umberto Galimberti.
L’interiorità finisce con il perdersi e, attraverso i mezzi di comunicazione, si rendono pubblici anche i sentimenti, le emozioni, promuovendo una “spudoratezza” che viene acclamata come espressione di “sincerità”, proprio perché “non si ha nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi”.
“La parola ‘vergogna’ viene dal latino vereor gognam che significa ‘temo la gogna’, la mia esposizione pubblica, quando dico ‘non mi vergogno’ sto dicendo che non temo l’esposizione agli altri. Ho oltrepassato quello che per chiunque sarebbe il pudore e ho fatto della spudoratezza non solo la mia virtù, ma la prova della mia sincerità e della mi innocenza”, queste le significative parole del filosofo.
Tale de-privatizzazione è necessaria in una società dove per poter esser accettati occorre mettersi in mostra, apparire, pubblicizzando la propria intimità, omologandosi, perdendo così però il proprio pudore, la propria identità.
Il processo di eliminazione del pudore è ormai quasi completato, proprio perché in tale ottica il pudore è sintomo di “insincerità”, di “introversione”, di “chiusura in se stessi”, per trasformarsi in “inibizione” e “repressione”.
La parte più intima di noi stessi, la nostra anima, finisce col perdere quella sua sfera di riservatezza che ci permette di custodire gelosamente la nostra essenza: in tal modo si guadagna, però, visibilità, conformità sociale ed apprezzamento, così da essere accettati in una società stereotipata ed omologata.
di VALENTINA TROPEA