Recalcati: “Occorre coltivare il talento dei giovani, espressione del desiderio, così che possano vivere la loro vita con passione e dedizione, accrescendo le loro vocazioni senza mai uniformarsi"
- La Redazione
- 1 giorno fa
- Tempo di lettura: 5 min
Ciascuno di noi ha la sua inclinazione singolare; il desiderio manifesta questa inclinazione singolare. Coltivare i talenti significa coltivare queste inclinazioni singolari, non significa uniformare…

Prendersi cura delle nuove generazioni appare sempre più difficile ed articolato e la funzione di educatore, in qualità di genitore o di insegnante, presuppone una grande responsabilità, nella piena consapevolezza di dover svolgere congruamente un ruolo di notevole importanza, che richiede senz’altro un’accortezza ed una cura particolare.
Occorre che gli adulti imparino a coltivare il talento dei giovani e a tal fine lo psicoanalista e saggista italiano Massimo Recalcati, attraverso le sue parole, ci offre degli ottimi spunti di riflessione.
“In fondo noi possiamo tradurre il termine talento con una parola fondamentale della psicoanalisi, che sta molto a cuore ai giovani, che è la parola desiderio. Il talento è un’espressione del desiderio. Ma cos’è il desiderio? Interrogarsi sul desiderio implica il fatto che accendere una vita, mettere in moto una vita, non è come accendere un computer.
Accendere una vita significa, appunto, accendere il desiderio; perché il desiderio è quella forza che rende la vita viva. Noi sappiamo che la vita biologica non è sufficiente a rendere la vita viva. Uno dei dati epidemiologici più inquietanti che investono il mondo giovanile è quello di una grande diffusione tra i giovani della depressione. E la depressione è un’esperienza che ci mostra che la vita, viva dal punto di vista biologico, può non essere viva, può essere vita morta”, in tal modo lo psicoanalista inizia la sua profonda disamina.
Il talento, dunque, non è altro che un’espressione del desiderio ed il desiderio è quella forza capace di rendere la vita viva, così che passione ed ambizione possano trovare libera espressione.
“Allora quando la vita è viva? Quando la vita è accesa. Quando la vita è accesa? Quando la vita è animata dal desiderio, quando la vita cioè ha la possibilità di dispiegare i propri talenti. Ed allora la domanda diventa: ‘cosa possiamo fare noi per trasmettere la forza viva del desiderio nelle nuove generazioni?’.
Io penso che ci sono due operazioni che dobbiamo fare: la prima è quella preliminare, di avere fiducia nei giovani, perché se le vecchie generazioni hanno fiducia nel desiderio delle nuove generazioni, questo desiderio si rafforza, si potenzia; se le vecchie generazioni hanno sfiducia, esprimono giudizi cinici, disincantati sulla realtà e sulla vita dei loro figli, il desiderio non trova nutrimento. Il primo nutrimento del desiderio è che le vecchie generazioni scommettano, abbiano fiducia, sul desiderio delle nuove generazioni.
Seconda operazione fondamentale è che il desiderio, per trasmettersi da una generazione all’altra, ha bisogno di testimonianze. Allora questo è un compito delle vecchie generazioni: mostrare che è possibile vivere questa vita, in questo mondo, su questa terra, con desiderio, con passione, con vocazione, perché questo termine vocazione è un altro modo di tradurre la forza del desiderio. Il desiderio è una vocazione e ciascuno di noi ha la sua propria vocazione.
Da questo punto di vista il desiderio è sempre un po’ singolare, sempre un po’ anomalo, sempre un po’ anormale, sempre un po’bizzarro, sempre un po’ deviante, sempre inclinato. Ciascuno di noi, sin da bambino, ha la sua propria inclinazione verso i numeri, verso le immagini, verso le parole, verso l’attività fisica, verso il lavoro, verso l’uso delle mani o degli occhi. Ciascuno di noi ha la sua inclinazione singolare; il desiderio manifesta questa inclinazione singolare. Coltivare i talenti significa coltivare queste inclinazioni singolari, non significa uniformare le vite ma considerare che ogni vita porta con sé un valore unico. La vera cura della vita è cura dell’uno per uno, non è cura anonima, non è cura che uniforma la vita, ma è cura dell’uno per uno nella misura in cui si manifesta come attenzione ai talenti singolari, attenzione alle inclinazioni particolari. Allora per coltivare i talenti bisogna che i giovani incontrino adulti capaci di avere fede, di avere fiducia, di potenziare queste inclinazioni senza pretendere di uniformarle, di assimilarle a modelli ideali di normalità”, queste le parole degne di nota e pregne di significato dello psicoanalista.
Occorre, pertanto, che la vita dei giovani sia animata dal desiderio e perché ciò si verifichi è necessario in primis che gli adulti ripongano fiducia nelle nuove generazioni, così che quel desiderio possa trovare il giusto nutrimento; in secondo luogo gli adulti devono mostrare che è possibile vivere la propria vita con desiderio, passione, vocazione, considerando che ciascuno di noi, sin da bambino, ha una sua inclinazione singolare, e quindi gli adulti stessi devono contribuire a potenziare quel talento, non pretendendo, invece, di uniformare quelle vocazioni singolari.
Ma il desiderio può essere considerato come l’opposto del dovere?
A tale interrogativo Massimo Recalcati risponde in tal modo:
“Noi spesso consideriamo che il desiderio, come forza che rende viva la vita, sia necessariamente in opposizione alla legge: da una parte ci sarebbe la potenza vitale del desiderio e dall’altra l’austerità grigia, rigorosa, repressiva della legge e che tra il programma del desiderio ed il programma della legge ci sia un antagonismo irriducibile, l’uno contro l’altro, il desiderio contro la legge, il dovere della legge contro il piacere del desiderio. Ecco noi dovremmo uscire da questa rappresentazione del desiderio e provare a pensare se il desiderio non potesse diventare la forma più alta del dovere. Pensare cioè che il desiderio non è l’opposto al dovere ma che esiste la possibilità di pensare al desiderio come la forma più radicale del dovere.
Quando qualcuno, un giovane per esempio, si trova impegnato in un’impresa, questa impresa è chiaro che esige dovere, esige lavoro, esige fatica, esige dedizione, ma questo dovere, questo lavoro, questa fatica, questa dedizione, non sono sacrifici ma sono l’espressione più forte, più alta, più nobile anche, del talento del desiderio: come a dire se riesco a fare qualcosa che amo, qualcosa che desidero fare, ciò che faccio, che pure mi costa disciplina, impegno, costanza, lavoro, non è una prigione del desiderio, non è un’obbligazione che sacrifica la mia vita, ma è un modo per potenziare la mia vita, è un modo per far diventare il desiderio la forma più alta della legge. Io penso che la vita dei giovani diventa vita fertile, diventa vita capace di generare vita, capace di generare impresa, quando il desiderio assume la dimensione della legge, dunque non è più il capriccio, non è più la voglia passeggera, non è più una frivolezza del piacere, ma è il desiderio che assomiglia al dovere. Io mi auguro che questi giovani impegnati in questo programma possano fare questa esperienza, l’esperienza non di una contrapposizione tra il desiderio ed il dovere, ma l’esperienza di un dovere, cioè di un impegno, di una dedizione, che non è antagonista al desiderio ma che la sua più alta espressione, la sua più alta manifestazione”.
Ecco allora l’importanza di credere nei giovani, di coltivare il loro talento, così da considerare il desiderio non come l’opposto del dovere ma come la più alta e nobile espressione dello stesso: ciò è fondamentale così che le nuove generazioni possano impegnarsi con dedizione, sacrificio e disciplina nello svolgimento delle loro attività ma animando il loro desiderio, perché nella vita occorre potenziare la propria vocazione, la propria inclinazione singolare, senza uniformarsi ma ricordando che ogni vita porta con sé un valore unico.
di VALENTINA TROPEA