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Galimberti, la felicità che si accende con la passione è strettamente correlata a noi stessi e non a un fattore esterno

Aggiornamento: 21 nov

“La felicità promossa dalla passione è una felicità che dipende dall’altro. È stupenda nella sua fase iniziale, ma non…”

In relazione al tema della felicità Giulia, una ragazza di vent’anni, decide di scrivere una lettera al filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti. La stessa si interroga su cosa sia la felicità.

Giulia, attraverso una profonda riflessione, inizia a domandarsi cosa significhi essere felice e collega la felicità, ad esempio, al poter condividere le proprie gioie ed i propri dolori con la sua famiglia e con i suoi amici, avendo delle persone che le vogliono bene e che non la lascerebbero mai da sola.

Umberto Galimberti, nel rispondere a tale lettera, coglie l’occasione per esprimere il suo pensiero in merito.


“La felicità promossa dalla passione è una felicità che dipende dall’altro. È stupenda nella sua fase iniziale, ma non dura. L’idealizzazione che abbiamo fatto dell’altro si stempera e, accanto al suo aspetto luminoso che la nostra idealizzazione aveva creato, fa la sua comparsa la sua ombra. E se siamo capaci di amare anche la sua ombra, solo in quel momento nasce la felicità che dura”, queste le parole del filosofo.

Ecco allora che la felicità, quella vera e destinata a durare, non ci vuole passivi ma attivi: si tratta di una felicità che non ci “capita” ma che siamo in grado di costruire partendo dalla conoscenza più profonda di noi stessi; ed infatti solo conoscendo le nostre virtù, le nostre inclinazioni e vocazioni, potremo costruire una felicità solida e duratura che riempie il nostro animo di gioia e serenità.

Oltre a conoscerci, dobbiamo però avere anche una piena consapevolezza di noi stessi, comprendendo bene come autorealizzarci.

“La felicità che dura non esclude la felicità che ci capita, quella innescata dalle passioni, ma la riconosce nei suoi limiti e non fa esclusivo affidamento su ciò che ci accade senza un nostro lavoro”, così ribadisce Galimberti in maniera chiara ed inequivocabile.

In definitiva, quindi, lo psicoanalista vuole farci comprendere fino in fondo come la felicità sia strettamente correlata a noi stessi e non a un fattore esterno, che dipende dagli altri: siamo noi stessi artefici del nostro destino e, attraverso un lavoro costante e determinato, possiamo conoscere bene le nostre inclinazioni, vocazioni, passioni, che riempiono il nostro animo, ci arricchiscono, e ci permettono di essere felici, di costruire una felicità che perduri e che non sfiorisca in pochi attimi.

Non è semplice riconoscere se stessi, autorealizzarsi, ma solo in tal modo riusciremo ad essere veramente felici, senza consegnare la nostra anima a nessun’altro, ma comprendendo fino in fondo come una felicità che perduri sia esigente e non scenda mai a compromessi.

Si tratta di un lavoro costante e duraturo che non presuppone deleghe o intermediazioni: siamo noi stessi che dobbiamo avere contezza delle nostre virtù ma al contempo anche dei nostri limiti così da poter conseguire una realizzazione “secondo misura”, capace di riempire le nostre giornate di gioia di vivere e di entusiasmo, senza che ciò dipenda da nessun’altro ma solo ed esclusivamente da noi stessi, al massimo condividendo quella felicità che riempie l’animo, entusiasmandoci giorno dopo giorno.


di VALENTINA TROPEA


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