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TIROCINIO NON PAGATO ALLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE. TRENTATRÉ MEDICI RICORRONO IN CASSAZIONE

Immagine del redattore: La RedazioneLa Redazione

PER LA SUPREMA CORTE IL RICORSO È INAMMISSIBILE


La sesta Sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 39171/21, del 5 ottobre 2021, ha respinto la richiesta di 33 medici innanzi al Tribunale di Roma contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'Università e della ricerca scientifica, il Ministero della Salute ed il Ministero dell'economia, difesi dall’Avvocatura dello Stato.

I 33 soggetti, dopo avere conseguito la laurea in medicina, si erano iscritti ad una scuola di specializzazione senza, però aver percepito alcuna remunerazione, o compenso da parte della scuola stessa per tutta la durata della specializzazione.

I ricorrenti sostenevano che l’Italia non aveva mai dato attuazione alle direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla direttiva 82/76/CEE, che imponevano agli Stati membri di prevedere che ai frequentanti le scuole di specializzazione fosse corrisposta un’adeguata retribuzione.



In conseguenza di ciò ciascuno dei 33 ricorrenti chiedeva, in primis, il pagamento 21.500.000 di lire per ogni anno di frequenza delle rispettive scuole di specializzazione oppure, il risarcimento del danno patito a causa del ritardo, da parte dello stato italiano, nel dare esecuzione alle anzidette direttive.

La domanda era stata rigettata in primo grado dal Tribunale di Roma e in secondo grado dalla Corte d’Appello. Quest’ultima ha ritenuto che il diritto al risarcimento, dovuto alla tardiva attuazione delle direttive 75/362 e 75/363, da parte dello Stato italiano, sia iniziata dall’entrata in vigore della legge n. 370/99 il 27/10/1999.

Tale legge, ha sì previsto il pagamento di un compenso in favore di quanti avessero frequentato, senza essere remunerati, le scuole di specializzazione post laurea in medicina, ma limitatamente a coloro che avevano proposto, e vinto, il ricorso innanzi al Tar.

Contro la sentenza della Corte d’Appello i 33 medici sono ricorsi in Cassazione lamentando, “ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione "delle norme e dei princìpi in materia di risarcimento del danno derivante tardivo recepimento di direttive comunitarie"; di sette differenti norme del codice civile, delle leggi 370/99 e 257/91, dell'articolo 112 c.p.c., di varie disposizioni del Trattato istituivo dell'Unione Europea e delle tre direttive 82/76, 75/363 e 93/16”.

La Suprema Corte, sostanzialmente, ha confermato quanto deciso dalla Corte d’Appello, ed ha ritenuto anche infondata la richiesta dei ricorrenti di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Per la Cassazione l'istanza “è infondata poiché “a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell'ordinamento interno impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie; che nessun dubbio poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno (lo Stato), e che qualsiasi eventuale incertezza circa l'individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva impedire il decorso della prescrizione”. Il ricorso, pertanto, è inammissibile.




di MARIA SQUILLARO





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