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La scuola laboratorio di umanità: Genitori e docenti devono tornare a essere comunità educante, non avversari contrapposti. Il dolore di una madre per la perdita di un figlio, vittima di bullismo

La storia di Raffaele, giovane vita spenta dopo anni di ferite invisibili, rivela con crudezza la persistenza di una barbarie quotidiana: il bullismo, travestito da rituale di gruppo...”

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Il grido sommesso che attraversa la lettera di una madre, scritta non soltanto per piangere un figlio, ma per inchiodare una società alle proprie omissioni. La storia di Raffaele, giovane vita spenta dopo anni di ferite invisibili, rivela con crudezza la persistenza di una barbarie quotidiana: il bullismo, travestito da rituale di gruppo, tollerato in nome di un’indifferenza che assolve e perpetua.

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In quelle righe si avverte la lacerazione di una madre, ma anche l’eco di un’intera generazione di adulti che ha smarrito la capacità di vegliare. La scuola, chiamata ad essere laboratorio di umanità, rischia troppo spesso di ridursi a contenitore burocratico, dove il dolore non trova cittadinanza e la fragilità diventa colpa.

Occorre restituire all’istituzione scolastica la sua natura di presidio etico e non soltanto formativo. L’aula deve tornare a essere luogo di accoglienza e di relazione autentica, non spazio neutro di mera trasmissione del sapere. L’insegnamento, privo di empatia e di ascolto, si trasforma in un codice freddo, incapace di incidere sulle coscienze.

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Ogni docente, nel suo ruolo, è chiamato a diventare testimone di giustizia relazionale, capace di leggere i silenzi, interpretare i gesti, riconoscere la sofferenza non detta. La scuola non educa soltanto con i programmi, ma con le presenze, con gli sguardi, con la qualità morale dei rapporti che vi si respirano. Il CNDDU ritiene che il primo passo verso una vera rinascita consista nel restituire alla formazione una dimensione affettiva, relazionale, empatica. L’educazione ai sentimenti, ai limiti, al riconoscimento reciproco non può essere più considerata accessorio didattico: è materia di sopravvivenza civile.

Chiediamo che ogni istituto scolastico si doti stabilmente di figure professionali qualificate per l’ascolto psicologico, che siano garanti silenziosi della dignità degli studenti, prima che il disagio degeneri in destino. Al contempo, è necessario rieducare lo sguardo adulto: genitori e docenti devono tornare a essere comunità educante, non avversari di fronti contrapposti. La corresponsabilità educativa è il terreno su cui germina la fiducia, e senza fiducia nessun apprendimento è possibile.

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Il caso di Raffaele non è un’eccezione, ma un sintomo: racconta la distanza crescente tra il linguaggio della scuola e quello dell’anima. Finché la parola non tornerà a essere ponte, e non arma, continueremo a contare vittime del silenzio. Che la memoria di Raffaele diventi allora una soglia: non un epitaffio, ma l’inizio di una responsabilità collettiva. Solo riconoscendo la scuola come spazio di vita interiore, di cittadinanza e di cura, potremo onorare davvero la sua storia.


di La Redazione

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