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Galiano: "Ci insegnano a chiederci 'cosa vuoi diventare?' mai 'chi sei davvero?'. Viviamo in un mondo che ci guarda solo se brilliamo, ci ascolta solo se urliamo, ci riconosce solo se facciamo"

"Viviamo in un mondo che ci guarda solo se brilliamo, ci ascolta solo se urliamo, ci riconosce solo se facciamo. Un mondo che ha fretta di definirci, di incasellarci, di darci un nome e archiviarci..."


Non è semplice comprendere sin dal principio quale sia la direzione giusta verso la quale orientarsi per poter realizzare se stessi pienamente, così da esaudire i propri sogni, senza mai rinunciare alle proprie passioni ed ambizioni.

Tutto questo richiede tempo e dedizione, sacrificio e determinazione, senza mai dimenticare chi siamo veramente, senza mai trascurare la nostra vera essenza, a prescindere dal mestiere che saremo chiamati a svolgere o dal percorso che decideremo di intraprendere.

A tal fine lo scrittore ed insegnante italiano Enrico Galiano coglie l'occasione, attraverso una riflessione degna di nota, per esprime il suo pensiero in merito, sottolineando l'importanza di valutare e giudicare noi stessi in base a ciò che siamo veramente, a prescindere dall'etichetta che spesso ci viene cucita addosso.

"Oggi ero in una scuola media di Copertino.

Alla fine dell’incontro, nel classico momento delle domande, dopo i soliti bigliettini piegati e un po’ timidi, alza la mano lei.

Occhiali grandi, occhi azzurri fermi, colpi di sole rossi tra i capelli, maglietta nera con il nome di una band rock che non avevo mai sentito e che – puntuale – ho già dimenticato.

Niente foglietti, niente esitazioni.

Solo una domanda nata lì, sul momento, mentre mi ascoltava parlare.

'Mi scusi, ma perché dobbiamo per forza diventare qualcosa?'

'Come scusa?'

'Sì, sembra che per esistere dobbiamo per forza diventare, che ne so, un muratore, un falegname, un avvocato… qualsiasi cosa. Ma perché?'

La guardo meglio. Controllo. Sì, ha tredici anni.

Si chiama Alessia.

E in quell’istante, capisco che Alessia ha già colto qualcosa che a me sfugge ancora, ogni tanto.

Che viviamo in un mondo dove sei qualcuno solo se fai qualcosa.

Se produci, se ti definisci, se metti una targhetta davanti al tuo nome.

Ma se semplicemente sei, allora non basti mai.

Ci insegnano a chiederci 'cosa vuoi diventare?', mai 'chi sei davvero?'.

Ci abituano a pensare che per meritare uno sguardo, un ascolto, un posto, dobbiamo dimostrare, salire, ottenere.

E così cresciamo convinti che, se non diventiamo 'qualcosa', rischiamo di restare invisibili.

Viviamo in un mondo che ci guarda solo se brilliamo, ci ascolta solo se urliamo, ci riconosce solo se facciamo.

Un mondo che ha fretta di definirci, di incasellarci, di darci un nome e archiviarci lì, per sempre.

Ma forse dovremmo imparare da Alessia.

A non starci.

A ribellarci quando ci vogliono chiudere in una definizione.

A difendere il diritto di non sapere ancora chi siamo.

Perché a volte, restare indefiniti è l’unico modo per restare - infiniti", queste le significative parole di Enrico Galiano.


Viviamo in un mondo che ci misura in base a ciò che facciamo, non a ciò che siamo, e così abbiamo fretta di "definirci", di "incasellarci", crescendo con la convinzione che se non diventiamo 'qualcosa', allora rischiamo di essere invisibili; ci insegnano a chiederci cosa vogliamo diventare ma mai a domandarci chi siamo veramente e così, con il passare del tempo, abbiamo creduto che per meritare considerazione, per meritare uno sguardo, dobbiamo dimostrare sempre qualcosa a qualcuno; ci siamo illusi che la vita sia perfetta ed abbiamo iniziato ad indossare una maschera, alle volte trascurando la nostra vera essenza e dimenticando cosa vogliamo davvero, conformandoci ad una società che limita fortemente la nostra libertà, omologandoci e privandoci della nostra vera identità.

Ecco allora l'importanza di ribellarci, "perché a volte restare indefiniti è l’unico modo per restare infiniti", perché non bisogna piacere a tutti ma occorre lottare per essere se stessi, con i propri pregi ed i propri difetti, brillando di luce propria e non di luce riflessa.





di VALENTINA TROPEA







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