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Crepet: un buon educatore, in qualità di genitore,deve essere un capitano e non un amico,avendo il coraggio di sottrarre l’eccesso di privilegi ai propri figli senza doverli accontentare a tutti costi

Da qui il sovvertimento di ruoli e funzioni: i reggenti sono i più piccoli e gli asserviti sono diventati i genitori, convinti che accontentarli significhi renderli più…

Gli educatori, in qualità di genitori e di insegnanti, svolgono sicuramente un’impegnativa e difficile funzione pedagogica che presuppone senz’altro una presenza costante ed un’attenzione particolare nei confronti di giovani ragazzi troppo spesso privi di punti di riferimento, estremamente fragili ed incapaci di gestire autonomamente qualsiasi tipo di avversità o difficoltà che possa verificarsi nel corso della loro esistenza.


A tal fine il sociologo e psichiatra Paolo Crepet evidenza un vero e proprio atteggiamento di prostrazione degli adulti nei confronti dei figli.

“Padri e madri disanimati pedagogicamente, come se la nascita di una bambina o di un bambino includesse una sorta di legge del contrappasso, una «pena» che si può espiare in un unico modo: con la sottomissione come forma d’amore”, queste le significative e mai scontate parole di Paolo Crepet.

Si assiste, infatti, ad un vero e proprio capovolgimento di ruoli e di funzioni, pervenendo ad una decadenza educativa che ha lasciato spazio ai «piccoli Buddha».



“Mi riferisco dunque a quelle bambine e quei bambini, di età compresa tra i 6 e gli 8 anni, che si sono trasformati o, meglio, sono stati cresciuti come i veri padroni e custodi della quotidianità del proprio nucleo familiare. Semplicemente, tendono a decidere come fossero i veri capifamiglia. E i padri e le madri, che spesso hanno già qualche capello bianco, appaiono a volte inebetiti, annichiliti dai loro ordini perentori, altre volte affascinati. Si genuflettono di fronte alla nuova divinità che ha conquistato le loro case, anzi ritengono che questo debba essere il «nuovo ordine domestico» al quale occorra adattarsi”, in tal modo esprime il proprio pensiero lo psichiatra.

In realtà è importante comprendere fino in fondo come una famiglia non sia un Parlamento dove ognuno ha un voto; pertanto la necessità di avere genitori autorevoli, capitani e non amici, è fondamentale e decisiva.

Allora ci si chiede perché i genitori avvertano così tanto il bisogno di assecondare ogni richiesta dei propri figli, anche a costo di sembrare ridicoli. Forse nutrono dei sensi di colpa per non essere riusciti a fare di tutto per loro?

Tuttavia, muovendosi in tale direzione, non si rendono conto che dimostrare sudditanza ai propri bambini confonde loro le idee, li fa crescere deboli, fragili, perché totalmente dipendenti da una figura genitoriale tuttofare che si trasforma in un vassallo, in un dipendente, in un «buonista».


Da qui il sovvertimento di ruoli e funzioni: i reggenti sono i più piccoli e gli asserviti sono diventati i genitori, convinti che accontentarli significhi renderli più capaci di affrontare le difficoltà della vita.

Si è così passati dall’autoritarismo ad una debole autorevolezza, per giungere infine alla prostrazione.

Padri e madri si sono convinti, infatti, che il loro vero compito sia il non dover fare mai mancare nulla ai propri figli, che rappresenta l’opposto di un’educazione basata sul buon senso; i genitori non devono dare ma avere il coraggio di sottrarre l’eccesso di privilegi, di libertà, di denaro, di tutele.

D’altronde un contadino non pianterebbe mai un albero sotto una quercia perché ciò non permettere la nascita dei frutti: ogni pianta, così come un figlio, ha bisogno di sole, ma anche di pioggia, vento e neve.


Genitori ed educatori provano spesso un grande senso di colpa per non essere sufficientemente presenti, un po’ come se non si sentissero mai all’altezza o abbastanza adeguati a far fronte alle richieste dei propri piccoli, e così pensano di dover «risarcirli» in qualche modo; tuttavia, nell’assolvere a tale ruolo, prediligono una concezione materialistica, proprio perché comprare un regalo o elargire libertà è sicuramente più semplice che donare tempo o essere d’esempio.

L’idea che l’educazione sia una pratica democratica, che prevede che tutti -figli, genitori, insegnanti- siano alla pari nella ripartizione di diritti e doveri, ha profondamente falsificato il processo educativo, rendendolo ambiguo ed equivoco.


Tra le generazioni si firma, erroneamente, un armistizio, nella convinzione che si possa sopravvivere senza che nessuno si senta il dovere di indicare una strada, una possibilità, un’opportunità.

Ecco allora che il vero compito di un genitore, di un educatore, è essere capitani, nonostante possa essere impegnativo o complicato.

Pensare che non ci sia nessuno che debba intervenire, punire, arbitrare le regole educative, rappresenta una grande chimera che rischia di produrre un futuro grigio ed informe dove i giovani non sapranno prendere decisioni, guidare il proprio cammino, e ci sarà qualcun altro che lo farà al posto loro.

Ciò che bisogna capire veramente è che le regole, i piccoli divieti, un brutto voto, un tradimento di un amico, rappresentando dei modi per esercitare le capacità dei giovanissimi di far fronte alle avversità, crescendo ed imparando a reagire agli eventi negativi che potrebbero verificarsi nella loro vita, così da non essere vulnerabili e ricattabili.



di VALENTINA TROPEA







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