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OLTRE 600.000 NUOVI POSTI DI LAVORO, I GIOVANI HANNO LE COMPETENZE NECESSARIE? ECCO ALCUNE TRA LE MAGGIORI FIGURE RICHIESTE

"Abbiamo smesso di valorizzare il lavoro tecnico e manuale, alcune figure artigianali stanno scomparendo, ma c’è una grande richiesta di : Fabbri, falegnami, sarti, elettricisti... "


Il mondo del lavoro è in continua evoluzione. Mentre alcune professioni spariscono lentamente, altre crescono in modo impetuoso. Eppure, tra queste trasformazioni, emerge un nodo critico: i giovani sono davvero pronti a rispondere alle richieste del mercato?

Un recente rapporto di Excelsior Unioncamere lancia un segnale d’allarme: oltre 600.000 nuovi posti saranno disponibili nei prossimi anni, ma la maggior parte rischia di restare vacante. Il problema non è la mancanza di opportunità, ma la distanza tra ciò che le imprese cercano e ciò che la scuola – e l’università – stanno offrendo.

Quando il titolo di studio non basta più

A sorpresa, sono proprio i giovani laureati ad avere la peggio: secondo l’indagine, molte aziende hanno ridotto la richiesta di laureati in settori fino a pochi anni fa considerati solidi. Ecco alcune delle professioni che stanno registrando il maggior calo:

  • Programmatori tecnici: –47,7%

  • Docenti della scuola secondaria superiore: –13,9%

  • Ingegneri civili: –19,3%

  • Farmacisti: –17%

  • Insegnanti professionali: –13,2%

Una delle spiegazioni è che il mercato oggi cerca competenze flessibili, digitali, trasversali, spesso assenti in molti corsi universitari ancora troppo teorici.

Le figure più richieste oggi

Non mancano però le professioni in crescita. Le imprese italiane sono in cerca di profili altamente tecnici e specializzati, spesso provenienti da percorsi di formazione diversa dall’università. Ecco alcuni dei ruoli più richiesti nel 2024:

  • Esperti legali in ambito aziendale: +31,9%

  • Specialisti in scienze economiche: +15,4%

  • Tecnici meccanici: +14,1%

  • Specialisti in gestione e controllo d’impresa: +13,4%

In parallelo, c’è una crescente domanda di professioni artigianali e manuali: fabbri, falegnami, elettricisti, idraulici, panettieri, tornitori, cuochi. Professioni non delocalizzabili, né sostituibili da un algoritmo, ma sempre più difficili da reperire. Secondo Unioncamere, oltre 600.000 artigiani andranno in pensione entro il 2028, ma i nuovi ingressi sono pochissimi.

Una scuola che non forma (più)

Il cuore del problema è culturale e strutturale. Come ha dichiarato Marco Bentivogli, esperto di politiche industriali, «abbiamo smesso di valorizzare il lavoro tecnico e manuale». E la scuola italiana sembra aver smarrito il legame con il mondo produttivo.

Gli istituti professionali sono in forte calo, mentre si continua a spingere verso i licei anche studenti che avrebbero maggiori attitudini per percorsi pratici. Eppure esistono alternative valide: ad esempio, gli ITS Academy – scuole di alta specializzazione post-diploma – offrono tassi di occupazione superiori all’80%, ma coinvolgono appena 20.000 studenti all’anno.

Le sfide che ci attendono

Di fronte a un mercato che cambia rapidamente, la risposta non può essere solo individuale. Serve un cambio di passo collettivo:

  • Orientamento scolastico reale, fin dalle medie, per aiutare gli studenti a conoscere tutte le strade disponibili, non solo il liceo.

  • Potenziamento della formazione tecnica, rilanciando gli ITS con l’obiettivo di coinvolgere almeno 100.000 giovani entro il 2030.

  • Collaborazione tra scuola e impresa, ispirandosi al sistema duale di paesi come Germania e Svizzera, dove studio e pratica si integrano.

  • Riqualificazione continua degli adulti, per evitare che milioni di lavoratori diventino “obsoleti” e restino ai margini.

Conclusione: un’occasione da non sprecare

I posti di lavoro ci sono. Ma senza un serio investimento nelle competenze – sia tecniche che umane – rischiamo di avere giovani disoccupati e aziende che non trovano personale.

È il momento di ripensare la scuola, la formazione e l’idea stessa di lavoro. Valorizzare i saperi concreti, artigianali e tecnici, non è un ritorno al passato, ma un passo decisivo verso il futuro.




di Natalia Sessa

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