Galimberti: "Un solo complimento può cambiare un bambino e costruire un’identità positiva, perché è dall’altro che impariamo chi siamo davvero"
- La Redazione
- 2 giorni fa
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Aggiornamento: 6 ore fa
“La riscoperta del riconoscimento che abbiamo di noi stessi attraverso l’altro è l’unico processo capace di salvarci, capace di renderci veri uomini e donne con sentimenti sani...”

Appartenere a qualcuno significa anche riconoscersi, identificarsi. È un concetto profondo e antico che Umberto Galimberti, in un suo intervento, ha ripreso per farci comprendere al meglio non solo i giovani ma anche come funzionano le relazioni umane e di come ogni individuo, nel corso della vita, abbia necessariamente bisogno dell’altro e di legami che lo facciano sentire vivo, presente, testimone dell’esistenza.
Associando quindi il termine appartenenza agli adolescenti Galimberti afferma: “avere un branco è tipico dell'adolescenza, perché non hai ancora un'identità, te la stai facendo, allora ti appoggi un po' agli altri per appartenere". Nella fase adolescenziale quando ancora è tutto imprevedibile, quando i giovani faticano un po' a farsi capire e ad essere capiti si appoggiano necessariamente ai propri coetanei, infatti, continua l’esperto: “l'appartenenza è una componente della propria esistenza”. Per cui l’appartenenza parte da piccoli ma è un “sentimento” che poi ci accompagna nel corso degli anni. “Inizi a strutturare la tua identità, appoggiandoti un po' a quella degli altri che ti sostengono. L'identità - infatti - ce l'hai come effetto del riconoscimento sociale. Se un bambino riceve dai suoi genitori dei complimenti, ha la possibilità di crescere con un’identità positiva”.
Facendo quindi un piccolo passo indietro, lasciando da parte il mondo degli adolescenti, possiamo capire quanto siano di fondamentale importanza le parole che rivolgono i genitori ai propri figli. Se i genitori riconoscono nel proprio bambino delle capacità e iniziano a nutrirlo di parole riconoscenti di queste potenzialità, di parole sane, costruttive allora inizierà a forgiare la propria identità. Un' “identità positiva”, costruita da valori, principi rivolti prima di tutto a se stesso: stima, fiducia delle proprio capacità, rispetto.
Punti cardini che gli saranno di grande aiuto quando poi si ritroverà a doversi riconoscere nel “branco”, tra i suoi simili, quando dovrà scindere cosa è giusto da cosa è sbagliato. “L’identità è un dono sociale”, come abbiamo già ribadito, sono gli altri a definirci davvero a farci sentire presenti. Galimberti questo processo lo definisce un “dono”, ma se gli altri ci definiscono, cosa possiamo fare per loro? Essere noi stessi, nella parte più vera, profonda e autentica. Questo include pregi e soprattutto difetti. Galimberti, in questo suo intervento invita tutti: bambini, ragazzi e adulti a capire che “io non sono uno per sempre” e invita in particolar modo i genitori a riflettere sul loro lavoro e sul potere e sull’effetto delle parole che possono dire.
Conclude l’esperto: “Platone diceva che se uno con la parte migliore del suo occhio, che è una pupilla, guarda la parta migliore dell'occhio dell'altro, vede se stesso”. In un' epoca nella quale sta avvenendo questo decadimento di valori, di civiltà, di umanità la riscoperta del riconoscimento che abbiamo di noi stessi attraverso l’altro è l’unico processo capace di salvarci, capace di renderci veri uomini e donne con sentimenti sani. Questo movimento inizia quindi tra le mura di casa, per poi mutare, cambiare e evolversi nella società : “Come puoi esistere se non esiste qualcun altro che ti conferma che esisti?”.
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di NATALIA SESSA






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