L’esame di maturità, che oggi conosciamo con il nome di esame di Stato grazie alla riforma Berlinguer del 2000 che ridisegnò gli assetti della scuola italiana, segna la fine del percorso di studi nella scuola.
L’esame di fatto non ha cambiato solo il nome, ma anche la sua struttura.
Ci sono stati diversi tentativi di modifica, per rendere sempre più efficace e moderno l’esame, da parte dei vari ministri dell’Istruzione di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni.
Anche lo stesso ed attuale Ministro Bianchi ha tentato un'ennesima modifica: l’emergenza sanitaria ha rallentato il piano, spingendo il Ministro verso l’attuazione di soluzioni di fortuna, forse non così “moderne” e innovative, ma, rispondenti alle pressanti esigenze di un momento storico sconosciuto e senza precedenti.
Le voci che circolano sulla formula del prossimo esame di Stato sono veramente tante. Se dovessero venire confermate le più insistenti, a giugno gli studenti italiani avranno il medesimo esame che ha riguardato l’ultima generazione di diplomati:
commissione di soli docenti interni;
nessuna prova scritta;
elaborato da realizzare a casa e su un tema concordato con gli insegnanti della classe;
un colloquio che comprenda l’accertamento della conoscenza dei programmi svolti e delle competenze acquisite;
l’esperienza Pcto (la vecchia alternanza scuola/lavoro);
l’educazione civica.
Verrebbe ancora una volta premiata la storia scolastica individuale dello studente che, con il raggiungimento del massimo credito scolastico, avrebbe già 60 dei 100 punti massimi ottenibili al termine dell’esame.
Solo lo 0,2% degli studenti che hanno sostenuto l’esame non si è diplomato e, secondo quanto riportano le statistiche, infatti, mai come l’anno scorso si è vista una percentuale di 100 e lode così alta.
Il dato nazionale degli ammessi rimane molto alto, perché pari al 96,2%. È invece cresciuto di un ulteriore 0,5% (dal 2,6 del 2019-20 al 3,1% dell’ultimo esame) il numero dei diplomati che hanno preso il massimo con la lode. Poco più della metà dei diplomati (52,9%) ha ottenuto una valutazione superiore a 80.
I numeri fanno riflettere sul fatto che, nonostante la difficile situazione che stanno vivendo gli studenti, questo non influenzi particolarmente la loro performance scolastica.
Sembrerebbe quasi confermata la rinuncia della prova scritta d’italiano.
L’accademico della Crusca, Paolo D’Achille, teme che queste continue riduzioni dell’esame di Stato avranno inevitabili ripercussioni nel corso della loro carriera universitaria.
Paola Mastrocola, sostiene che l’esame stia diventando una farsa e che sarà un’impresa difficile per gli studenti che non riuscire superarlo.
Mastrocola e tanti altri professionisti della didattica (pedagogisti, insegnanti, formatori, uomini di scuola) chiedono è di dare agli studenti un esame capace di stimolare meglio l’impegno. Un esame che dia una forma ancor più legittimante al loro progetto di crescita e di affermazione e che nessuno possa, un giorno, svalutare.
di VALENTINA ZIN