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Daniele Novara ai genitori: Così la scuola fa soffrire i nostri figli

Il pedagogista spiega perché troppa fatica blocca l’apprendimento e cosa possono fare i genitori

Quando un figlio fa fatica a scuola, i genitori spesso si chiedono se non serva solo “più impegno”. Ma è davvero così semplice? Secondo il pedagogista Daniele Novara, l’apprendimento non è una gara da vincere a forza di fatica, ma un processo delicato, che ha bisogno di equilibrio, motivazione e – soprattutto – relazioni sane. Le sue parole ci aiutano a rimettere a fuoco il nostro ruolo di adulti, dentro e fuori la scuola.

"Se è vero che imparare, qualsiasi sia l’apprendimento, necessita di una fatica, risulta altrettanto vero che questo sforzo non può e non deve superare un determinato limite, pena la compromissione dell’apprendimento stesso." È un’affermazione importante: imparare richiede fatica, sì, ma non deve diventare fonte di stress, ansia o paura. Se la scuola o lo studio diventano un terreno di sofferenza, qualcosa si rompe. E quello che si rompe è proprio il desiderio di imparare. "In altre parole, un eccesso di tensione, specie emotiva, genera un effetto negativo sulla possibilità di sviluppare un nuovo apprendimento. Così come una totale indolenza finisce con il produrre un blocco altrettanto significativo. Occorre la giusta misura."

I genitori si troviamo spesso a dover bilanciare: da un lato il rischio di pressare troppo, dall’altro quello di lasciare che si adagino. Novara ci ricorda che la chiave sta proprio lì, nella “giusta misura”: non esagerare con le aspettative, ma nemmeno disinteressarsi. Servono confini, sì, ma anche fiducia e ascolto.

"Nel caso della scuola e della comunità scolastica, il mantenimento di questo equilibrio è affidato alla capacità dell’insegnante di creare le adeguate condizioni di lavoro."

L’insegnante ha un ruolo cruciale, ma non agisce in isolamento. I genitori non devono sostituirsi a lui o lei, ma possono collaborare, sostenere, osservare. E, se necessario, fare domande: “Mio figlio si sente accolto in classe? Si sente al sicuro? Ha un ruolo nel gruppo?”. Sono domande che contano più di un voto sul registro. "In primis la motivazione, una condizione interna a ciascun alunno, ma che in realtà dipende tantissimo dai fattori esterni." Qui Novara sfata un mito molto diffuso: quello dello studente “che non ha voglia”. In realtà, la motivazione non nasce dal nulla. Si alimenta quando un ragazzo si sente visto, capito, valorizzato. E anche a casa possiamo fare la nostra parte: mostrando interesse, facendo domande vere, dando valore all’impegno più che al risultato.

"Per esempio, è estremamente importante che l’allievo si senta accolto nel gruppo con cui vivrà e lavorerà per almeno un anno scolastico, e presumibilmente anche per più di uno." Il benessere scolastico non dipende solo dal rapporto con gli insegnanti, ma anche da quello con i compagni. I bambini e i ragazzi imparano meglio se si sentono parte di un gruppo. Se invece si sentono esclusi o giudicati, l’apprendimento si blocca. Come genitori, è importante non sottovalutare mai i segnali di isolamento sociale.


"Se viceversa questo gruppo, chiamato normalmente classe, assume un atteggiamento respingente verso di lui, diventerà piuttosto difficile sentirsi parte di un processo di apprendimento comune, ossia di quella comunità educativa che funge da bacino di alimentazione e di perimetro di riferimento per i progetti e le azioni scolastiche stesse."

Una classe non è solo una somma di studenti: è un ecosistema. E se questo ecosistema non funziona, anche il ragazzo più capace può spegnersi. La scuola ha il dovere di vigilare su questo, ma anche i genitori possono aiutare, promuovendo il rispetto, educando all’empatia e restando in dialogo con gli insegnanti e gli altri genitori.

Le parole di Novara ci ricordano che la scuola non è solo voti, compiti e interrogazioni. È un luogo di crescita, e come tale ha bisogno di cura. Per questo, ogni genitore può essere un alleato prezioso, non solo per il proprio figlio, ma per la comunità scolastica intera. Perché quando un bambino si sente accolto, stimato e parte di un gruppo, allora sì, può davvero imparare.

di Natalia Sessa

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