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Tamaro: “Abbiamo dimenticato come vivere davvero. La lentezza, l’attesa e quei gesti antichi che danno profondità all’esistenza”

Quando l’attesa diventa più che un sentimento, ma una vera riscoperta del nostro essere. La vita ha tempi lenti, segreti, e necessari che non possiamo ignorare.

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“Quando inizia il mese di dicembre tanti ricordi tornano alla mente e, insieme ai ricordi, quella sensazione molto particolare e ormai forse desueta che si chiama attesa”, è con queste parole che la scrittrice Susanna Tamaro ricorda con nostalgia e commozione i giorni che anticipavano il Natale nella sua famiglia.

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 Nel quale si attribuiva un significato più profondo e autentico a tutto ciò che accadeva in questo periodo: “Non era il fatto dei regali in sé a provocarmi quel sentimento, quanto piuttosto l’idea che in quel mese così buio e freddo, spesso allora spazzato dalla bora, avvenissero dei fatti straordinari”. Dicembre, il mese dell’inverno, portava con sé anche il calore della famiglia e dell’amore e “nella routine quotidiana si apriva uno spiraglio in cui era possibile intravedere un’altra dimensione dell’esistere, in qualche modo segretamente luminosa”.

Un paragone ad oggi non è possibile farlo, troppe cose ci sono sfuggite di mano, anche quelle più semplici, quelle che potevano davvero farci stare bene. Non si riesce più ad attendere il tempo della maturazione “Eppure l’attesa è uno dei sentimenti fondanti della vita. Nei tempi in cui era comune avere un rapporto concreto con la terra, le persone erano consapevoli di questo, perché se semino, devo attendere che la pianta germogli; e la pianta ha i suoi tempi, non obbedisce alla mia volontà”.

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In un tempo nel quale ci ostiniamo a volere le fragole anche con il freddo, perché non ritornare alla semplicità, alla naturalezza, allo scorrere lento della vita? Quel tempo in cui quando non c’è molto da fare si osserva, perché “l’attesa è anche un tempo di sospensione e di silenzio. E forse mai come ora abbiamo questo profondo bisogno di entrare nella dimensione che ci è stata purtroppo sottratta. Quello di saper scorgere la luce segreta delle cose”, conclude Tamaro: “Quella luce che ci dona il senso del mistero che costituisce la radice più profonda del nostro esistere”.

Le parole della scrittrice ci suggeriscono di ritrovare qualcosa che rischiamo di dimenticare, ovvero, la capacità di attendere. In una vita frenetica ed impaziente dobbiamo riscoprire un ritmo diverso, quello capace di restituire profondità e autenticità. Attendere non è “perdere tempo”, ma capire che ci sono dei tempi, naturali, che non dipendono da noi, che vanno rispettati. La maturazione di un frutto è paragonabile alla maturazione di un sentimento, che nella lentezza del progredire si fortifica.  

L’attesa non vive nelle parole, ma nei gesti. È il profumo della cena di Natale che si diffonde lentamente per casa, mentre qualcuno è in cucina da ore senza fretta. È la dedizione silenziosa di una nonna che prepara ogni piatto come fosse un atto d’amore, senza bisogno di essere vista. È la capacità di restare, di esserci davvero, nel vero qui e ora, senza distrazioni e senza l’urgenza di riempire ogni vuoto. L’attesa è questo tempo concreto, fatto di presenza e di cura, che insegna a riconoscere il valore delle cose semplici e restituisce profondità ai legami.

È allora evidente che la lentezza e la presenza hanno radici profonde nel passato, in un tempo in cui i gesti contavano più delle parole. Per riscoprirne la profondità dobbiamo volgere lo sguardo alla nostra storia, a quel carico di sentimenti antichi che ci accompagna ancora oggi: ricordi, silenzi, rituali familiari, attenzioni che non avevano bisogno di essere spiegate. È lì che l’attesa smette di essere nostalgia e diventa una bussola, capace di restituire profondità, senso e umanità anche nel presente.

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di NATALIA SESSA

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