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Crepet, ragazzi sulla gru in Via Mariti, una vera emergenza educativa. L'appello ai docenti, necessario discuterne in classe

Un gesto estremo diventa lo specchio di un vuoto più profondo. E l’educazione torna ad essere una responsabilità condivisa...

Quando alcuni adolescenti sono saliti sulla gru del cantiere Esselunga di via Mariti, a Firenze – lo stesso dove pochi mesi fa hanno perso la vita cinque operai – molti hanno parlato di “bravata”. Ma quel gesto, secondo lo psichiatra Paolo Crepet, è solo la punta dell’iceberg: ciò che dovrebbe allarmarci è il silenzio attorno, l’assenza di adulti pronti a educare, guidare, contenere.

In un’intervista a La Nazione, Crepet non cerca colpe nei social o nella tecnologia. Anzi, ribalta la prospettiva: «Il problema non sono i telefoni, ma il fatto che attorno a questi ragazzi non ci sia nessuno. Una volta c’erano i nonni, gli allenatori, gli insegnanti, ora spesso non c’è neppure un genitore presente». E allora il suo appello è chiaro, rivolto in primis alla scuola: «Mi piacerebbe che episodi come questo fossero discussi in classe. Vorrei leggere i pensieri dei ragazzi: magari ci sorprenderebbero». Parlare, ascoltare, aprire spazi di riflessione: sono azioni semplici, ma oggi più che mai rivoluzionarie. E servono adulti che non abbiano paura di assumersi il ruolo scomodo, ma necessario, dell’educatore.

Secondo Crepet, infatti, il vero errore degli adulti contemporanei è aver abdicato al proprio ruolo per “diventare amici” dei figli. «Siamo una generazione che ha contestato i padri e oggi serve i propri figli. Ma i servi non educano, perché hanno paura di perdere approvazione».

Non si tratta di invocare un ritorno al passato, ma di riconoscere che senza una rete sociale – fatta di genitori, insegnanti, figure autorevoli – ogni adolescente rischia di perdersi. E non basta indignarsi: servono scelte concrete, come quella adottata in Francia, dove i cellulari sono vietati fino alla terza media per favorire il dialogo reale. «Lì – osserva Crepet – hanno visto crescere ragazzi più entusiasti e intelligenti. Noi invece abbiamo paura di porre regole». Quella sulla gru non è stata una sfida social. È stata, forse, una richiesta d’aiuto. E se non vogliamo più leggerla solo nelle cronache, dovremmo iniziare a leggerla nei volti e nelle parole dei nostri ragazzi. In classe, in famiglia, nella vita.



di La Redazione

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