Presentata alla stampa l’indagine condotta dalla Federazione Gilda-Unams relativa al tema delle scuole in affitto
E’ stata presentata alla stampa dal Coordinatore nazionale Rino Di Meglio l’indagine condotta dalla Federazione Gilda-Unams, relativa al tema delle scuole in affitto, per cui molte strutture che dipendono dai comuni e dalle province, ricorrono ad affitti privati, che equivalgono a cifre esorbitanti. Nello specifico, dalla disanima dei dati trovati nella sezione amministrazione trasparente dei bilanci delle province d’Italia, per quanto riguarda le scuole di secondo grado oggetto dell’analisi, sono emerse anomalie in alcune regioni, dove vi sono scuole che da anni, invece di essere pubbliche, risultano in affitto.
In alcuni casi limite si osserva che questo meccanismo, prorogato per diversi anni, avrebbe piuttosto consentito l’acquisto dell’edificio scolastico stesso che, mancante di proprietà pubblica, si rende difficoltoso mettere a norma.
Se al tema dello spreco, si aggiunge quello della riqualificazione e manutenzione degli istituti, la panoramica si aggrava. Ancora oggi, solo un edificio su due dispone del certificato di agibilità (52,9%), di collaudo statico (49,5%) e di prevenzione incendi (51,6%). Scenario che si complica nel Sud Italia, dove in regioni come Sicilia e Calabria, un’istituzione educativa su tre richiede urgenti interventi di manutenzione. Questi dati riflettono una situazione di cronico ritardo nella riqualificazione edilizia e nei servizi scolastici, aggravata da significative disparità territoriali. In alcune regioni questo fenomeno è più evidente che in altre: la Sicilia, per esempio, ha una spesa per affitto pari a 7.226.318,18 euro, la Calabria 3.541.815,24 euro. Anche al Nord, ad eccezione di poche realtà come il Veneto, che dichiara una spesa annua di 5.200,00 euro, si evidenziano evidenti sprechi come nel caso della Lombardia, con un affitto di 6.299.795,63.
Per quanto riguarda il Lazio, la provincia di Roma ha una spesa di 3.310.636,65 euro. L’analisi effettuata, si riferisce solo alle province, di cui la metà non hanno pubblicato i dati mentre altre non li hanno aggiornati, altre ancora li hanno inseriti in voci di bilancio che non li rendono evidenti, per cui la nostra indagine si deve ritenere parziale, possiamo ritenere che si tratti solo della punta dell’iceberg. Non sono stati presi in esame i Comuni, che richiederebbero strumenti maggiori di analisi, per questo riteniamo che allargando l’indagine, il totale complessivo risulterebbe di gran lunga maggiore.