Così come si evince dal Rapporto Svimez 2024, L'Italia è all’ultimo posto tra le grandi economie europee per spesa in istruzione. Un sottofinanziamento...
Così come si evince dal Rapporto Svimez 2024, L'Italia è all’ultimo posto tra le grandi economie europee per spesa in istruzione.
Un sottofinanziamento che pone l’istruzione tra le voci prioritarie di spesa pubblica sulle quali investire per perseguire finalità di equità e crescita del Paese.
La progressiva riduzione del numero di iscritti nelle scuole italiane nell’ultimo quinquennio riflette il trend demografico di un paese con sempre meno giovani, ma nel Mezzogiorno gli studenti sono diminuiti a un ritmo più che doppio.
Nel prossimo decennio, il degiovanimento procederà soprattutto al Sud, interessando anche le regioni del Centro. Senza correttivi immediati e scelte politiche ambiziose, gli effetti sulla tenuta del sistema scolastico saranno dirompenti, mettendo a rischio i presìdi scolastici nelle aree marginali di tutto il Paese.
Per la scuola primaria, il rischio è concreto per circa 3mila comuni con meno di 125 bambini, numero sufficiente per una sola “piccola scuola”: il 38% del totale dei comuni (quota che sale al 46% nel Mezzogiorno), localizzati soprattutto nelle aree interne, al Nord e al Sud.
La dotazione di infrastrutture scolastiche, a partire da mense e palestre, è una condizione abilitante per garantire agli studenti un’offerta educativa adeguata, ma è profondamente differenziata a livello territoriale. Le carenze nell’offerta dei servizi che ne derivano incidono sull’accesso al tempo pieno nelle scuole primarie del Sud e condizionano significativamente i processi di apprendimento degli studenti meridionali lungo l’intero ciclo scolastico, spiegando buona parte dei divari Nord/Sud nei livelli delle competenze maturate.
Per ridurre i divari di competenze e contrastare la dispersione scolastica, molto più alta al Sud, serve incrementare la spesa nazionale per l'istruzione, riavvicinandola agli standard europei, e colmare i divari nelle infrastrutture scolastiche, andando al di là delle opportunità di investimento offerte dal Pnrr.
L’istruzione è un bene pubblico essenziale, la cui qualità e diffusione capillare tra territori sono condizioni imprescindibili per uno sviluppo inclusivo. Dare priorità all’investimento in istruzione significa restituire alla scuola il suo ruolo di primo presidio di contrasto alle disuguaglianze, garantendo a tutti gli studenti, indipendentemente dal contesto familiare e sociale, pari condizioni di accesso a un diritto di cittadinanza fondamentale.
SPESA PUBBLICA IN ISTRUZIONE
L’Italia è all’ultimo posto tra le grandi economie europee per spesa in istruzione, collocandosi anche al di sotto della media Ocse. Nel 2021 i paesi Ocse spendevano in istruzione in media il 5% del Pil, il 4,5% se si esclude il settore Research & Development (R&D) . La spesa media in istruzione nell’Ue a 25 paesi era pari al 4,4% del Pil, 4% senza considerare la spesa in R&D. Il dato italiano si fermava al 4% (3,7% senza settore R&D). Per la sola istruzione non terziaria (Isced 0-3), la media Ocse si attestava al 3,4%, quella dell’Ue a 25 paesi al 3,1%, il dato italiano si fermava al 3%. La spesa per i cicli che vanno dalla scuola primaria alla scuola secondaria di II grado (Isced 1-3) ammonta a circa 50,5 miliardi in Italia. Il 96% della spesa è corrente; il restante 4% è in conto capitale.
Secondo le stime Ocse, la spesa pubblica in istruzione rappresenta il 6,7% della spesa pubblica italiana; un dato signifcativamente inferiore alla media europea (9%) e a quella dei paesi Ocse (10%), e si inserisce in una tendenza che, dopo gli anni di crescita sostenuta del 2017 e 2018, è tornata su valori inferiori a quelli del 2011. Sempre in percentuale alla spesa pubblica, l’Italia destina lo 0,75% alla scuola dell’infanzia, contro l’1,2% di Francia, l’1,3% di Spagna e il 2% di Germania. La scuola primaria italiana è finanziata con il 2%, mentre la media Ue a 25 si attesta al 2,6%.
Ancora più marcato è il differenziale nella spesa per la scuola secondaria di I grado: pari all’1,1% in Italia e al 2% nella media europea. Fa eccezione la quota di spesa pubblica italiana destinata alla scuola secondaria di II grado pari al 2,1%, contro il 2% della media europea.
Scuola e degiovanimento
In base ai dati forniti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito (Mim), nell’anno scolastico 2022/23 gli alunni iscritti ai cicli di istruzione non terziaria erano poco più di 7 milioni. Di questi, circa quattro milioni e mezzo (il 62,6% del totale) in scuole delle regioni del Centro-Nord, i restanti due milioni e mezzo (37,4%) in scuole del Mezzogiorno (Tab. 1). La progressiva riduzione del numero di iscritti nelle scuole italiane dell’ultimo quinquennio rifette il trend demografico di un paese con sempre meno giovani, ma nel Mezzogiorno gli studenti sono diminuiti a un ritmo più che doppio rispetto al Centro-Nord. Tra gli anni scolastici 2017/18 e 2022/23, la platea studentesca nazionale si è ridotta da oltre sette milioni e mezzo a circa sette milioni (-6%). Negli stessi anni, il Centro-Nord è passato, all’incirca, da 4.650.000 a 4.463.000 alunni nel 2022/23 (-4%), il Mezzogiorno da quasi tre milioni a 2.670.000 (-9%).
Stando alle proiezioni demografiche Istat al 2035, nel prossimo decennio il differenziale territoriale di decrescita dovrebbe gradualmente smorzarsi, lasciando spazio a un fenomeno di degiovanimento di entità non troppo difforme tra macroaree, e tuttavia più intenso al Centro e al Sud.
Il personale e le retribuzioni
Nell’anno scolastico 2022/23, il corpo docente di tutti i cicli di istruzione non terziaria si attesta su circa 709mila unità. Il rapporto insegnanti/studenti è, in media nazionale, di 1 a 10, contro rapporti medi Ocse e Ue a 25 paesi pari a circa 1 a 13 e 1 a 12.
Il rapporto è di 11 alunni per docente nel Centro-Nord; nel Mezzogiorno il dato scende a 9.
Le regioni con il numero più alto di alunni per docente sono Lombardia (12,6), Emilia-Romagna e Veneto (12,4). Quelle con il rapporto più basso sono Molise (7,5), Basilicata (8,2) e Sicilia (8,5).
Secondo i dati Ocse, il salario lordo medio annuo degli insegnanti italiani della scuola dell’infanzia e della scuola primaria è di 44.940 dollari (pari a 30.141 euro; 2.318 euro al mese), quello degli insegnanti della scuola secondaria di I grado di 47.829 dollari (32.079 euro; 2.467 euro mensili).
Gli insegnanti della scuola secondaria di II grado guadagnano in media 50.734 dollari (34.027 euro; 2.617 euro al mese) .
Il livello medio delle retribuzioni degli insegnanti italiani si attesta così a 47.111 dollari, al di sotto sia della media Ocse (54.241 dollari), sia di quella dell’Ue a 25 paesi (52.975 dollari), collocandosi tra i valori più bassi in Europa.
Dei circa 709mila docenti italiani, 407mila sono impiegati al Centro-Nord (57,5%), i restanti 302mila nel Mezzogiorno (42,5%). Prevalgono di gran lunga le donne (85,8%). La quota di uomini è particolarmente contenuta nei gradi di istruzione più bassi (1% nella scuola dell’infanzia e 4% in quella primaria); la componente maschile aumenta considerevolmente, pur restando in netta minoranza, nella scuola secondaria di I e II grado (rispettivamente 23 e 31%).
Non si registrano significative differenze Nord/Sud nella composizione per genere del corpo docente.
Le differenze tra macroaree tornano ad emergere quando si osserva la composizione per età dei docenti. In media, il corpo docente meridionale è più anziano: la quota di docenti over 54 è del 38,3% al Centro-Nord e del 46,6% al Mezzogiorno. In tutte le regioni del Centro-Nord tale quota non supera mai il 43%, mentre rappresenta il valore più basso registrato nelle regioni meridionali. Complessivamente, l’età media del corpo docente in Italia si attesta a quasi 52 anni: 51 al Centro-Nord, 53 nel Mezzogiorno. Le differenze territoriali sono particolarmente evidenti nei primi due cicli di istruzione: nel Centro-Nord la quota di docenti over 54 è del 37% nella scuola dell’infanzia e del 36% nella scuola primaria; nel Mezzogiorno ammonta rispettivamente al 48% e al 47%. La componente più giovane (under 35), si attesta su una media nazionale lungo tutti i cicli di istruzione non terziaria del 4%, con una marcata differenza territoriale (5,3% al Centro-Nord e 2,5% al Mezzogiorno).
SCARICA IL RAPPORTO SVIMEZ 2024 (PDF)
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