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Pellai: gli adolescenti, seppur possano apparire sicuri di sé, vivono un'età difficile e nascondono fragilità ed incertezze. Il PDP non può diventare un lasciapassare per ottenere la promozione

Immagine del redattore: La RedazioneLa Redazione

Aggiornamento: 6 giorni fa

Penso che ultimamente ci sia stato un ricorso alla certificazione davvero smodato che ha reso questa domanda una domanda necessaria, da mettere al centro di una...


Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano, pone l'accento su di un aspetto estremamente rilevante e delicato concernente l'eccessivo utilizzo delle certificazioni degli alunni con BES, attraverso una disamina significativa e che spinge ad una profonda riflessione.

"Ho ricevuto un accorato appello da A.B., una docente di scuola secondaria. Mi ha scritto che oggi i docenti sono sopraffatti da ciò che sta succedendo nelle loro classi: troppi studenti ricevono da psicologi e psicoterapeuti certificazioni di fragilità emotive e comportamentali con la richiesta alla scuola di piani didattici personalizzati (PDP).

Ecco cosa mi ha scritto:

'Prima o poi occorrerà interrogarsi seriamente sulla crescente ‘medicalizzazione’ dei ragazzi.

Ormai nelle scuole, in particolar modo nelle scuole superiori dove c'è ancora lo spauracchio di esami a settembre e bocciature, le certificazioni per qualsivoglia disturbo raggiungono percentuali altissime.

Ovviamente non metto in discussione le certificazioni per reali e gravi disturbi quali dislessia, discalculia e disgrafia. Occorre però sottolineare che troppo spesso il PDP (redatto sulla base delle certificazioni) è sentito come una sorta di lasciapassare da impugnare per ottenere sempre e comunque la promozione all'anno successivo, snaturando così il senso di questo prezioso strumento.

Il vero e proprio disastro si è raggiunto quando alle certificazioni di dislessia si sono affiancati, negli ultimi anni, i BES cioè i bisogni educativi speciali che includono di tutto di più, dalle ansie ai sensi di frustrazione ai momenti difficili causati da lutti familiari o situazioni familiari pesanti e così ormai in ogni classe vengono presentate certificazioni di psicologi (o almeno così si presentano) che attestano nei loro pazienti stati d'ansia, paure, fragilità e (attenzione) viene richiesto alla scuola di adeguarsi a queste difficoltà emotive e comportamentali, con interrogazioni programmate, aggiunta di tempo per le verifiche o riduzione delle stesse, compensazione dello scritto con l'orale e altre, ulteriori misure.


Ma quale adolescente, da che mondo è mondo (aggiungo: da che mondo benestante e ricco è mondo), non ha sofferto di ansia, frustrazione, paura, angoscia per il suo futuro?

L’ adolescente è, per la stessa etimologia del termine, un individuo non ancora strutturato, che sta crescendo, con tutte le incertezze che il percorso presenta; persino in quanti appaiono spavaldi e sicuri di sé ci sono evidenti tracce di incertezza, di fragilità, di ricerca di sé.

È un'età difficile, da sempre.

Oggi lo è ancora di più a causa dei social e delle tecnologie che distraggono e annullano le menti?

Vero, concordo.

Ma allora, come già succede, facciamoli aiutare dalle figure preposte, facciamo sì che, attraverso psicoterapie, trovino il bandolo della matassa, si rinforzino.

Ma teniamo separati i due ambiti della scuola e della psicoterapia o meglio, facciamoli lavorare, ciascuno con i propri strumenti (conosciuti e gestiti dai professionisti, della psicoterapia o dell'istruzione), in modo complementare.

Smettiamo di medicalizzare totalmente la scuola, in una sorta di metodo montessoriano snaturato e generalizzato; stiamo creando la scuola on demand, la scuola che si plasma sul singolo studente disabituando i ragazzi all'esercizio del mettersi in relazione con gli ambienti, le situazioni e le richieste che, oggi, sono quelle della scuola e, domani, saranno quelle del lavoro'.


A me sembra che ciò che la docente obietta abbia molto senso. Quando uno studente necessita di una certificazione che lo protegge e quando una certificazione invece che proteggere uno studente rischia di renderlo ancora più fragile? Penso che ultimamente ci sia stato un ricorso alla certificazione davvero smodato che ha reso questa domanda una domanda necessaria, da mettere al centro di una riflessione complessa, soprattutto all’interno della categoria professionale alla quale io stesso appartengo. Colgo però l’invito di questa docente ad aprire il dibattito: voi come genitori, docenti ed educatori che pensiero avete a tale proposito?", queste le rilevanti parole di Alberto Pellai in merito.

di TROPEA VALENTINA

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