Al vaglio della Flc Cgil il Decreto Legge 152 del 6 novembre 2021, concernente “Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose” che oltre a prevedere rilevanti interventi sul settore scolastico, contempla una prima serie di interventi sull’università. Tra cui la mobilità docenti universitari. L’art 26 incentiva con specifici percorsi la mobilità nazionale ed internazionale dei docenti universitari.
FLC, ritiene “positivo e importante prevedere specifiche procedure di mobilità per il personale oggi in ruolo negli atenei.
Riteniamo però diversi elementi sbagliati e pericolosi, in particolare: che la selezione, una volta raccolte le manifestazioni di interesse, possa avvenire non sulla base del curriculum scientifico e dei criteri generali di SSD/SC - sottolinea il sindacato - ma in ordine alla rispondenza delle proposte progettuali presentate dal candidato alle esigenze didattiche, di ricerca o di terza missione espresse dalle università (lasciando cioè spazio ad elementi discrezionali di scelta e di fatto ad una chiamata diretta piuttosto che ad una valutazione comparativa)”. Una possibilità prevista solo per professori ordinari e associati, e non per ricercatori a tempo indeterminato, “figura ad esaurimento ma ancora presente con oltre ottomila posizioni, per cinquemila dei quali non è attualmente prevista alcuna progressione di carriera”. Non piace neanche l’introduzione “di un vincolo di 5 anni dalla presa di servizio, non degli usuali 3 di solito prassi nel sistema universitario, limite tra l’altro previsto al comma 1 per le chiamate dirette da strutture estere”. Bocciato anche l’introduzione “di un vincolo per i professori ordinari, tra l’altro usando impropriamente gli attuali requisiti ASN per commissari (parametro che nulla c’entra, da un punto di vista logico e di merito, con l’accesso a procedure di mobilità tra atenei)”. Un’altra critica riguarda “la possibilità di procedere a queste chiamate direttamente da parte del Senato Accademico, senza una proposta ed un voto delle relative strutture didattiche e di ricerca (Dipartimenti), introducendo quindi di fatto la possibilità di modificarne dall’alto gli assetti, contro il parere delle stesse”. E ancora: “che sia esplicitata l’assenza di specifiche spese, che proprio per incentivare la mobilità dovrebbe prevedere invece sostegni e incentivi, tra l’altro dirette sia alle istituzioni (favorendo così l’avvio di queste procedure), sia per il personale coinvolto (favorendo così l’adesione ai processi di mobilità)”.
Flc Cgil ritiene utile “considerare e rafforzare i rapporti tra gli atenei e gli enti pubblici di ricerca, al fine di rafforzare convergenze e logiche complessive di sistema. Però, come abbiamo più volte chiesto e sottolineato proprio in questi mesi, riteniamo il caso che tale tema sia affrontato in modo organico e sistematico, valutando tutte le difficoltà ed i problemi del rapporto tra due sistemi con evidenti diversità di funzioni e inquadramenti del personale, e quindi evitando di introdurre dispositivi e procedure in modo sconnesso in questa o quella normativa”.
In sintesi, il sindacato “ritiene particolarmente problematici gli articoli 14 e 26: il primo (art. 14) perché stabilisce senza vincoli una flessibilizzazione degli ordinamenti, già di fatto notevolmente ampliata con il DM 133/2021, e sollecita con obbiettivi impropri la revisione degli SSD; il secondo (art. 26) perché giustamente introduce procedure di mobilità (eliminate con la legge 240/2010), ma dando eccessivo potere discrezionale agli atenei (selezione su esigenze e non valutazioni comparative; autonomia di chiamata del Senato Accademico sui Dipartimenti), introducendo vincoli impropri a questa mobilità (escludendo RTI, 5 anni invece che 3, requisiti ASN commissari per PO), forzando rapporti tra atenei ed enti di ricerca che è invece opportuno definire in una specifica normativa complessiva”.
di MARIA SQUILLARO