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Gli insegnanti figure “chiave per la collettività” e la Carta docente va pure ai precari perché “la formazione non cambia a seconda della stabilità o meno del rapporto di lavoro”

"Il lavoratore a tempo determinato può ritenersi effettivamente comparabile al docente di ruolo destinatario per legge della carta docente qualora sia stato ... "


“Il lavoratore a tempo determinato può ritenersi effettivamente comparabile al docente di ruolo destinatario per legge della carta docente qualora sia stato assunto a termine nell’anno scolastico a cui si riferisce il beneficio richiesto per un periodo sufficientemente lungo da garantire quella stabilità di rapporto che porti a presumere che della spesa in formazione fatta in favore del docente il Ministero possa trarre un vantaggio”:


a scriverlo è il stato, alcuni giorni fa, il Tribunale del lavoro di Padova, dopo avere esaminato l’incompletezza della normativa, che regola l’obbligo della formazione per tutto il personale salvo poi supportare solo quello di ruolo, e la puntualità con cui i tribunali hanno condannato l’amministrazione ad assegnare ai precari i 500 euro annuali della Carta del docente. Per il giudice del lavoro, quindi, l’insegnante che ha presentato ricorso attraverso i legali Anief ragione da vendere ed è giusto che percepisca i 2mila euro invece negati dall’amministrazione scolastica in occasione delle quattro supplenze annuali svolte tra il 2019 e il 2023.


Sempre il Tribunale veneto è giunto alla conclusione che “la formazione e l'aggiornamento del docente non può che essere considerata identica sia per i docenti assunti a tempo indeterminato che per quelli assunti a tempo determinato. A ragionare diversamente, infatti, si dovrebbe ipotizzare che l'attività svolta dai docenti cosiddetti precari possa essere caratterizzata da un minor grado di aggiornamento rispetto al personale docente, il che certamente risulterebbe irragionevole ed in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza e finirebbe anche con il ledere il diritto all'istruzione costituzionalmente garantito, perché, in tal modo, si avrebbe un corpo docenti la cui formazione è differenziata a seconda della stabilità o meno del rapporto di lavoro”.


Detto questo, per il giudice del lavoro, quindi, diventa ancora più incoerente il fatto che il legislatore abbia scritto, “nell’art. 1 comma 121 e ss. l. n. 107/2015, che la ratio legis è quella di garantire un costante accesso alla formazione e all’aggiornamento del docente. La previsione appare quindi concretizzare una sorta di investimento da parte del Ministero nella formazione personale e professionale di una figura chiave per la collettività”. Investimento che però verrebbe meno se il contratto di lavoro non è a tempo determinato.


Il giudice del lavoro di Padova ha quindi ricordato che a pensarla in questo modo, favorevolmente ai precari, è stato anche il Consiglio di Stato, che con la sentenza del “16.03.2022, n. 1842” ha espresso “un'indiscutibile identità di ratio - la già ricordata necessità di garantire la qualità dell'insegnamento - che consente di colmare in via interpretativa la predetta lacuna”. Ancora di più, perché rimangono in vigore le “preesistenti disposizioni del C.C.N.L. di categoria e, in specie, sugli artt. 63 e 64 del C.C.N.L. del 29 novembre 2007 che pongono a carico dell’Amministrazione l’obbligo di fornire a tutto il personale docente, senza alcuna distinzione tra docenti a tempo determinato e indeterminato”. Infine, ancora il C.d.S. ha rilevato che “un tale sistema” che supporta solo i docenti di ruolo “collide coni precetti costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 Cost., sia per la discriminazione che introduce a danno dei docenti non di ruolo (resa palese dalla mancata erogazione di uno strumento che possa supportare le attività volte alla loro formazione e dargli pari chances rispetto agli altri docenti di aggiornare la loro preparazione), sia, ancor di più, per la lesione del principio di buon andamento della P.A.”.


Il Tribunale di Padova ha quindi ricordato che “la Corte di Giustizia” Europea “ha affermato che «la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di EUR 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, mediante una carta elettronica”.


“Per l’ennesima volta – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – i nostri avvocati hanno illustrato ai giudici del lavoro quanto possa essere illogico e discriminante escludere dei lavoratori che conducono lo stesso impegno dall’accesso alla formazione. Una posizione, del resto, già espressa nel 2022 sia dal Consiglio di Stato che dalla Corte di Giustizia Europea: presentare ricorso gratuito con Anief significa quindi non solo avere altissime possibilità di recuperare fino a 3.500 euro più interessi, sempre a patto che si presenti l’istanza al giudice entro cinque anni dalla stipula del contratto a termine, ma anche fare prevalere la giustizia che altrimenti ancora una volta sarebbe stata sconfitta assieme – conclude Marcello Pacifico - al lavoratore precario”.


LE CONCLUSIONI DELLA SENTENZA DEL TRIBUNALE DEL LAVORO DI PADOVA

P.Q.M.

Il Giudice, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, deduzione ed eccezione disattesa,

- accerta il diritto di parte ricorrente al beneficio di cui all’art. 1 comma 121 L. n.


107/2015 per gli anni scolastici 2019/20, 2020/21, 2021/22 e 2022/23;

- condanna il Ministero convenuto a costituire in favore di parte ricorrente ai sensi degli artt. 2, 5, 6 e 8 del DPCM 28 novembre 2016 una Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado di cui all'art. 1 comma 121 Legge 107/2015, con le medesime modalità con cui è riconosciuta al personale assunto a tempo indeterminato, per ciascun anno scolastico suindicati, con accredito sulla detta Carta della somma pari a complessivi euro 2.000,00 (ossia 500,00 per ogni anno di servizio a tempo determinato);

- condanna parte convenuta a rimborsare alla parte ricorrente le spese di lite, liquidate in € 1.500,00 per compenso, maggiorato del 30% ai sensi dell’art. 4, comma 1-bis, D.M. 55/14 introdotto dal D.M. 37/18, oltre 15% per spese generali, Iva e Cpa, con distrazione a favore del procuratore dichiaratisi antistatario.

di LA REDAZIONE



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