Galimberti: la grande virtù di un insegnante, tra capacità comunicativa e approccio pedagogico del sapere. Solo la giusta modulazione permette agli allievi di comprenderlo pienamente
- La Redazione
- 15 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 16 apr
La capacità comunicativa è la vera forza dell’insegnante, che deve rendere il sapere accessibile, chiaro e adatto alla mente degli studenti...

Galimberti ci offre diversi esempi concreti di questa capacità. Gli insegnanti davvero efficaci non sfoggiano tutto il loro sapere, ma lo adattano alla comprensione della classe. Come ci fa ben capire lo stesso filosofo, la grande virtù di un insegnante è la sua capacità comunicativa senza sfoggiare tutto il proprio sapere, ma modulandolo in modo tale che gli allievi possano comprenderlo pienamente.
Nel contesto delle relazioni umane, le capacità comunicative e il carisma personale favoriscono l’ascolto e la comprensione reciproca. Ma anche la nostra intelligenza e abilità dialettica svolgono un ruolo fondamentale: aiutano a trasmettere in modo chiaro il nostro pensiero. Tuttavia, come spiega il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti, la vera intelligenza non consiste nell’esibirsi, ma nel sapersi adattare a chi abbiamo davanti, nel modulare la propria espressione in base all’altro.
“Se siamo tutti intelligenti, ognuno a suo modo, sarà tendenza di ciascuno mostrare, ogni volta che se ne presenta l’occasione, la specificità della propria intelligenza. Il risultato di solito è: o la mortificazione di quanti sono costretti ad assistere all’esibizione dell’altrui abilità mentale, o l’invidia che, opportunamente mascherata, trova sfogo nella maldicenza... o infine il disinteresse per ciò che la persona intelligente va dicendo...” In altri termini, anche il pensiero più brillante può risultare sterile se non tiene conto dell’interlocutore. Ecco perché, secondo Galimberti, “più intelligente sarà chi è capace di mimetizzare la propria intelligenza”.
Il termine “mimetizzazione” viene dal mondo animale: indica la capacità di alcuni esseri viventi di confondersi con l’ambiente per sfuggire ai predatori. Applicato all’intelligenza, il concetto cambia contesto ma conserva il senso profondo: saper dosare il proprio sapere in base a chi ci ascolta.
“Mimetizzare la propria intelligenza significa saperne modulare l’espressione a seconda del contesto in cui ci si trova, percependo in anticipo il livello di comprensione di coloro che ci ascoltano e le possibili reazioni che l’intervento può produrre.”
Questa capacità anticipatoria è propria delle intelligenze non narcisistiche, capaci di mettersi nei panni dell’altro. A differenza dei “sapienti”, convinti di possedere la verità, i filosofi sanno che non basta dire il vero: occorre farsi comprendere. Per questo, a partire da Socrate, hanno fondato scuole e metodi educativi che mettono la comprensione al centro.
A ostacolare la comprensione non sono solo i fattori culturali, ma soprattutto quelli emotivi. Se uno studente si sente accolto dal proprio insegnante, apprenderà più facilmente. Se un messaggio arriva da una persona apprezzata, sarà più ascoltato.
“Un’intelligenza che si accompagna a una competenza emotiva sa che cosa, di quanto esprime, può essere recepito o rifiutato... In una parola, mimetizza la sua intelligenza a misura della recettività di chi ascolta, per favorire l’acquisizione delle informazioni.”
Modulare il proprio discorso significa non dire tutto quello che si sa, ma solo ciò che l’altro può davvero comprendere. È un atto di altruismo e consapevolezza, che distingue le persone veramente intelligenti da quelle che, invece, cercano solo di mettersi in mostra.
Galimberti ci porta diversi esempi concreti. Gli insegnanti davvero efficaci non sfoggiano tutto il loro sapere, ma lo adattano alla comprensione della classe. Gli psicoanalisti non rivelano subito le cause del disagio, ma attendono che il paziente le scopra da sé. I genitori non impongono sogni e ambizioni ai figli, ma li accompagnano, aspettando che essi trovino la propria strada.
“La mimetizzazione dell’intelligenza è la virtù degli insegnanti... degli psicoanalisti... dei genitori... dei politici... ma direi anche la virtù delle veline, alcune delle quali hanno senz’altro significative capacità intellettuali, che però, dato il contesto, non è il caso di esibire in un concorso di bellezza…” Il contesto è tutto. Saper leggere la situazione e comportarsi di conseguenza è una forma di intelligenza relazionale profonda. Chi non lo fa, rischia di cadere nel narcisismo: mostrare se stessi più che cercare il dialogo.
Galimberti conclude con una riflessione potente:
“La mimetizzazione dell’intelligenza è la virtù delle persone veramente intelligenti, che sanno coniugare la verità con la comprensione della verità, per la quale sono disposti a rinunciare all’esibizione di sé per la cura dell’altro…”
Chi possiede questa intelligenza sa che ogni interlocutore ha un suo tempo e un suo modo di capire. Non si impone, non si irrigidisce nel proprio sapere, ma resta aperto, dialogico, disponibile all’ascolto.
Al contrario, le intelligenze narcisistiche, incapaci di cogliere le reazioni dell’altro, si chiudono su se stesse, diventando dogmatiche, aride, e alla lunga, incapaci di apprendere qualcosa di nuovo.
Le persone realmente intelligenti non hanno bisogno di ostentare la propria bravura. Sanno ascoltare, sanno aspettare, sanno parlare in modo che l’altro possa davvero capire. E soprattutto, sanno che comprendere è più importante che dimostrare.
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