Le regole, indispensabili nel processo evolutivo e di crescita di ciascun individuo, rappresentano dei punti di riferimento ed un genitore non può diventare un amico per un figlio perché rappresenterebbe...
Il rapporto tra genitori e figli, e più in generale tra gli educatori ed i giovanissimi, si basa sempre sul dibattito molto acceso riguardante il rispetto delle regole, indispensabili per educare bene i propri figli ed i giovani in generale. Si tratta di un aspetto che Paolo Crepet, sociologo e psichiatra, ha esaminato in maniera molto approfondita, ponendo l'accento su alcuni aspetti davvero rilevanti e significativi.
A tal proposito ci si chiede se le regole educative siano indispensabili nel processo di crescita dei giovanissimi e se siano mediabili.
Nonostante la risposta appai quasi scontata, in realtà è sempre bene soffermarsi su tale aspetto. Occorre sottolineare, infatti, che le regole educative non sono opinabili o mediabili ma si tratta di quei "no" che aiutano a crescere e necessari per evitare di distruggere gli anticorpi psicologici.
Le regole sono indispensabili nel processo evolutivo e di crescita di ciascun individuo, rappresentano dei punti di riferimento ed un genitore non può diventare un amico per un figlio perché rappresenterebbe solo una furbesca scorciatoia.
Vi è una profonda differenza tra il ruolo genitoriale e quello amicale. I genitori si occupano dell'educazione e dispensano quei «no» che sono fondamentali per poter crescere in maniera sana ed equilibrata, mentre gli amici si limitano a dare dei consigli, esprimendo delle opinioni.
"Un progetto educativo sensato prevede che la mamma o il papà siano come un faro nella tempesta: guai se tutte le notti cambiasse lo scoglio dove è piantato, il marinaio naufragherebbe senza quel punto di riferimento", queste le parole dello psichiatra.
Ogni famiglia, a tal proposito, dovrebbe avere delle regole da rispettare, attraverso la presenza di genitori in grado di assumersi delle responsabilità educative.
"È determinante che un bambino o una bambina, un ragazzo o una ragazza crescano confrontandosi con un'idea precisa e non vaga della visione del mondo dei propri genitori, significa imparare a riconoscere le proprie radici, il punto di partenza con cui faranno i conti per il resto della vita. E più è chiara è l'idea con cui si devono misurare, più forti diventeranno da adulti", sottolinea Crepet senza alcuna esitazione.
Nonostante si tratti di argomentazioni quasi scontate, spesso ci si ritrova alle prese con genitori incapaci di essere autorevoli. In realtà si tratta di porre al centro del dibattito la coerenza. Le regole, per poter essere rispettate e soprattutto per poterle amministrare con autorevolezza e non con autoritarismo, devono essere spiegate a chi è chiamato a rispettarle.
Per poter essere considerati dei punti di riferimento, delle guide, i genitori devono essere i primi ad agire coerentemente, rappresentando degli esempi per i propri figli: se vogliamo che i giovani rispettino le regole, allora noi per primi dobbiamo comportarci con coerenza, limitando la propria libertà.
Molti genitori, però, sembrano inadeguati a svolgere il loro ruolo guida: incapaci di divenire dei punti di riferimento per i loro figli, abdicano alle proprie responsabilità, diventando servizievoli, accondiscendenti, avendo paura delle ripercussioni che un «no» potrebbe ingenerare e così danneggiando i loro figli, destinati a cresce sempre più fragili ed indifesi.
Paolo Crepet, con fermezza e determinazione, ci fa comprendere come i giovanissimi abbiano bisogno di punti di riferimento saldi ed inamovibili, regole che consentano di crescere con disciplina ed autorevolezza, proprio perché i dolori, le perdite, le frustrazioni, gli abbandoni, ci permettono di diventare psicologicamente più robusti e di relazionarci con gli altri.
"L'educazione alle regole, quindi, non solo costituisce l'armatura essenziale per la creazione di una dimensione psicologica in grado di far evolvere il bambino e l'adolescente in un adulto maturo e consapevole, ma contribuisce a creare le condizioni per l'indispensabile educazione emotiva", così sottolinea Paolo Crepet senza esitazione.
Si pensi, ad esempio alla scuola, dove è diventato sempre più difficile trovare degli educatori in grado di giudicare uno studente con severità. Si tende a promuovere tutti così che, nell'ipotesi in cui si decidesse di bocciare qualcuno, i genitori sono subito pronti a ricorrere al Tar o magari semplicemente a cambiare istituto dove iscrivere i loro figli. Predomina la cultura del "condono educativo".
"L'esercizio della severità non assume necessariamente un significato demolitorio e tantomeno sadico, al contrario può essere espressione di considerazione per l'alunno:paradossalmente, un insegnante potrebbe scegliere di usare un voto negativo proprio per testimoniare la stima nei confronti di uno studente che ritiene possa essere utilmente stimolato a prestazioni migliori", così conclude Paolo Crepet.
di VALENTINA TROPEA
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